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Sab. Nov 16th, 2024

(da Beunsocial) (…) Abbiamo fatto due chiacchiere con Nicoletta Polliotto – digital project manager con l’agenzia Muse Comunicazione, esperta di food & restaurant marketing e conference speaker nel mondo Travel e Digital Food Marketing. Nicoletta segue progetti digitali in tutta Italia e collabora con parecchie realtà (BTO, BTM, TTG, SMAU, SMW, BIT, LUISS, IHMA, ITS, IATH, IED, FIPE solo per citarne alcune).

Il suo ultimo manuale per Hoepli è Digital Food Marketing. Guida pratica per ristoratori intraprendenti. Non solo: è curatrice della collana Hoepli dedicata al turismo e alla ristorazione: DMT – Digital Marketing Turismo, nonché Direttore di DFMLab, Academy di Milano e Torino dedicata al digital food marketing e a rinnovati strumenti e strategie applicate all’ospitalità.


Che cosa significa oggi per un ristoratore, e più in generale per chi ha un’attività a contatto con il pubblico, comunicare sul digitale?
(…) Per una PMI e una microimpresa essere presenti nell’ecosistema comunicativo digitale significa sopravvivere e crescere. Ritengo che, a 50 anni dalla creazione di Internet e a 30 della nascita del www, non ci si debba più porre il dilemma di esserci o non esserci. Soprattutto per le local business che hanno una forte localizzazione e sono radicate nel territorio, hanno uno store, un ufficio o erogano i loro servizi di accoglienza anche ristorativa, è indispensabile avere elaborato una stategia di mobile marketing e di local marketing. Devi poi possedere i tuoi owned media (il sito web o, per le catene, forse una app).

Tutti necessitano di una presenza del proprio brand sui social media: gli utenti, i lettori, i clienti sono tutti lì, per relazionarsi, informarsi (o almeno credendo di farlo) e per compiere e dichiarare delle scelte.

Abbiamo 2,2 miliardi di utenti su Facebook, Instagram più di 1 miliardo, 1,5 su Whatsapp. Che facciamo? Li ignoriamo? Oppure ci dissanguiamo nel tentativo di portarli fuori da questi network? Non so, mi pare bizzarro e dispendioso. Se dobbiamo fare crociate, realizziamole per migliorare la qualità dei nostri processi produttivi e cerchiamo di salvare il pianeta!


Hanno ancora così peso le recensioni online sui grandi portali come TripAdvisor?
Le recensioni avranno sempre più peso. Consultare il write-up o il racconto di un’esperienza d’acquisto è divenuta una tappa fondamentale nel nostro processo decisionale e nel customer journey di ciascuno di noi.

Soprattutto per i prodotti tecnici e tecnologici (si veda il grande successo degli how-to-do su YouTube per esempio) e per le esperienze (viaggio, cena, corso ma anche il libro che secondo me è borderline tra prodotto ed experience).

Le recensioni diventano un modo anche di dire la sua per il cliente silente, sempre meno avvezzo a relazionarsi di persona e più propenso a comunicare attraverso dispositivi e piattaforme. Una soluzione sarà valorizzare a esempio l’utilizzo di itable e totem interattivi e anche i menu digitali al ristorante, sempre meno listini e sempre più luogo complementare per la tua esperienza del gusto, con il quale condividere con la cucina la preparazione del tuo piatto e anche raccontare e commentare l’assaggio del piatto con amici e altri clienti.

TripAdvisor sta evolvendo (o involvendo secondo alcuni analisti). Vuole diventare più simile a una social media che a un aggregatore di recensioni. Sta combattendo le fake review e sta allargando il suo ventaglio di offerte con Tripadvisor Wi-fi e sistemi di vendita dei tavoli (il noto TheFork).

Ancora gradito dagli utenti, che 4 su 5 lo utilizzano prima di effettuare una scelta di viaggio o al ristorante, è stato però superato per numero di review da Google My Business e (al secondo posto nella classifica) da Facebook. Io parlerei veramente di Review Economy, tanto che grandi università stanno studiandone gli effetti non solo sulla Brand Reputation ma anche su fatturato e profitti delle aziende.


Come ha influenzato il digitale (e la sua estetica) il nostro modo di rapportarci al cibo?
A mio avviso il digitale sta condizionando, intanto con il suo design (quindi sia l’aspetto estetico sia quello strumentale-funzionale), comunicazione, distribuzione prodotto e anche scelte d’acquisto e più in generale di vita e di relazione, anche nel mondo offline.

Questo contagio ha portato a una commistione di strumenti e di ecosistemi relazionali, professionali, cognitivi online e offline. Tanto da far teorizzare al Prof. Floridi, nel suo Onlife Manifesto. Essere Umano in un’Era iperconnessa, che non ci sia più distinzione tra i due mondi ma un ambiente ormai compenetrato e convergente.

Non penso che il digitale abbia condizionato (e rovinato) la nostra vita. Abbiamo semplicemente trovato metodi e approcci più rapidi per nutrire la nostra curiosità, soddisfarla e al contempo raccontare e trasmettere in modo diverso i nostri valori ed emozioni. Voglio anche credere che sia gli utenti sia i designer stiano progettando nuovi canali e nuove interfacce plasmate su bisogni rinnovati. Siamo noi in buona sostanza che stiamo influenzando l’ecosistema digitale. O per lo meno il favore è reciproco.

Per ogni passaggio evolutivo industriale, economico e mediatico (dalla radio alla tv, l’avvento dei videogames, il web, i social media, i sistemi di messaging e le chat…) abbiamo lasciato una scia di problemi. Basta leggere il bel trattato del 1958 Ritorno al mondo nuovo di Aldous Haxley, in cui si evidenziano i terribili impatti sociali dei mass media. E poi “Il medium è il massaggio” di Marshal McLuhan. E ora la FOMO e il burnout. Logorati, schiacciati, scatenati come cani rabbiosi l’un l’altro nei commenti sui social media.

Ma siamo anche informati, consapevoli, ci raccontiamo esperienze, condividiamo valori. Certi grandi movimenti sarebbero stati possibili senza essere iperconnessi? #metoo? Fridays for Future? E il cibo non si allontana da questo approccio. Il cibo sta veicolando valori che prima erano di nicchia: il Gotha dei vegetariani, l’intellighèntzia del biologico, i fricchettoni della decrescita felice. Mi permetto di ironizzare perché sono vegetariana da 25 anni e seguo questi movimenti sin da ragazza…. 🙂

Ora si parla di cucina salutista, non si utilizzano le bottigliette di plastica, si pone attenzione allo spreco alimentare, si comprendono e rispettano le “cucine dei senza” e dopo una scivolata di stile di un grande brand sui social media o in una campagna pubblicitaria, nascono grandi movimenti, in stile #BoycotNomedelBrand…

Guarda il caso della maglietta della Carrefour che alcuni hanno trovato offensiva in quanto ironizzava sulle donne lasciando intendere che il femminicidio potesse essere una soluzione… Il brand ha dovuto intervenire immediatamente!

(…)


Perché alcune persone sentono l’esigenza di fotografare il cibo e condividerlo via social? Qual è la tua impressione?
Sia con il food selfie sia con la food photography, l’utente trova il modo di raccontare con un micro contenuto la sua esperienza, il luogo in cui è stato, l’emozione che ha vissuto, il senso di appartenenza a un brand, un mood, uno stile di vita, una community di foodies. L’utente non è sciocco. Sa che il cibo è il soggetto fotografico più gradito, che crea più favori, condivisioni, in una parola successo sociale.

Come indossare un abito con un colore sgargiante, farsi i capelli blu, usare un maquillage pesante. Certo ti fai notare, magari per buoni motivi, ragioni, sentimenti comunque ti piace vincere facile. Questo devono capire i brand: parlare quel linguaggio, in quel format e favorire la condivisione, con accesso alla wi-fi, cartellonistica e campagne, comunicazione e risposta alle recensioni, tone-of-voice. Tutto integrato e coerente verso quella direzione: grazie, sei il nostro miglior ambasciatore!

Fonte
http://www.beunsocial.it/fare-digital-food-marketing-parola-a-nicoletta-polliotto/

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