Sabato 16 novembre è in calendario la Giornata dedicata alla Dieta Mediterranea, istituita nel 2012 dopo la proclamazione Unesco che proprio il 16 novembre 2010 iscriveva la Dieta mediterranea nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, quale “insieme di competenze, conoscenze, riti, simboli e tradizioni, che vanno dal paesaggio alla tavola”. «Per questo, in vista di un importante appuntamento legato al cibo e alla sua valenza per la salute dell’uomo e dell’ambiente, abbiamo avviato un nuovo monitoraggio attraverso l’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market / SWG – spiega l’agroeconomista Andrea Segrè, fondatore di Last Minute Market e della campagna Spreco Zero – L’Osservatorio si conferma dunque sentinella delle abitudini alimentari e del rapporto che gli italiani hanno con il cibo, la sua fruizione e gestione, e con gli sprechi alimentari». I dati sono al centro dell’intervento che Andrea Segrè proporrà in video venerdì 15 novembre, al convegno sulla “Cultura della Dieta mediterranea. Ieri oggi e domani”, promosso dall’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli a cura degli antropologi e docenti Marino Niola ed Elisabetta Moro. Gli stessi dati saranno illustrati sabato 16 novembre a Bologna, in occasione dell’intervento che Segrè terrà come presidente di Fondazione FICO, durante l’evento per i due anni dall’inaugurazione del Parco del cibo più grande del mondo.
I dati Waste Watcher 2019 – novembre 2019 ci dicono dunque che «la Dieta Mediterranea – spiega Andrea Segrè – si conferma saldamente patrimonio nazionale, visto che 1 italiano su 3 (33%) dichiara di praticarla nel quotidiano e 1 italiano su 2 (52%) almeno “parzialmente”, per un totale di 85% di cittadini che hanno presente il significato del “mangiare mediterraneo” e improntano, del tutto in parte, la loro alimentazione ai parametri di questa dieta». Ma cosa si intende, esattamente, per “Dieta Mediterranea”? «La complessità di sfumature e significati esplicitati dall’Unesco in relazione alla Dieta Mediterranea sembrano accessibili agli italiani – osserva ancora Segrè – Se 1 italiano su 2 (53%) la definisce un “regime alimentare”, il 41% riconosce molteplici valenze come le “tradizioni alimentari legate ai popoli mediterranei che si affacciano sul Mediterraneo” (19%), uno stile di vita che include la convivialità e l’attività fisica (17%), un insieme di valori insiti nel riconoscimento Unesco di patrimonio immateriale dell’umanità (5%)». «Aspetto decisamente rilevante per il monitoraggio sull’evoluzione delle abitudini alimentari degli italiani – commenta Segrè – è quello legato alle scelte nutrizionali: i dati Waste Watcher evidenziano che 1 italiano su 3 (29%) ha ridotto il consumo di carne, mentre il 39% dei cittadini ha aumentato il consumo di verdura e legumi o abbracciato le regole del regime nutrizionale Mediterraneo. Salutare sulla base dei riscontri scientifici evidenziati anche dalla FAO, gioiosa per le sue caratteristiche di convivialità e condivisione delle tradizioni, la Dieta Mediterranea si dimostra anche un prezioso alleato nella prevenzione / riduzione dello spreco alimentare secondo il 64% degli italiani, 2 intervistati su 3: aiuta a ridurre del tutto gli sprechi per il 26% e parzialmente secondo il 38% dei cittadini. «Del resto – osserva Segrè – i nostri studi dimostrano che il modello agro-nutrizionale mediterraneo ha un impatto ambientale assai ridotto: il consumo di acqua è pari a 1.700 metri cubi procapite rispetto ai 2.700 del modello anglosassone, il che dimostra la sostenibilità della Dieta Mediterranea, sia dal punto vista della produzione che del consumo».
I paradossi malnutrizione/obesità del nostro tempo si moltiplicano tuttavia, anche nell’Italia, patria della Dieta Mediterranea: più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) risulta in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%); complessivamente, il 45,1% dei soggetti over 18 è in eccesso ponderale (dati Osservasalute). Nel biennio 2017-2018, l’Istat stima circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni (28,5% nel 2010-2011). Emergono forti differenze di genere con una più ampia diffusione tra i maschi (27,8% contro 22,4%). L’eccesso di peso tra i minori aumenta significativamente passando da Nord a Sud (18,8% Nord-ovest, 22,5% Nord-est, 24,2% Centro, 29,9% Isole e 32,7% Sud). Le percentuali sono particolarmente elevate in Campania (35,4%), Calabria (33,8%), Sicilia (32,5%) e Molise (31,8%). «Per questo – conclude Segrè – l’unica mossa vincente è una svolta culturale che parta dai banchi di scuola. L’educazione alimentare, intesa come educazione civica del nostro tempo, è l’unica chance perchè il rapporto col cibo nostro, e delle generazioni future, diventi finalmente un’interazione consapevole. Per la salute dei cittadini, e del pianeta. Garantire ai nostri figli gli strumenti utili per rapportarsi correttamente al cibo nella quotidianità della vita è un primo, piccolo ma importante passo, verso il “patto intergenerazionale” che potrebbe mitigare un futuro ambientale ad oggi in caduta libera».