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Dom. Dic 22nd, 2024

Caffè è croissant, e in alternativa un toast all’avocado che ci riporta immediatamente al presente. Eppure, varcata la soglia del nuovo caffè firmato Tiffany – il primo nella storia della celeberrima gioielleria newyorkese, con le inconfondibili pareti azzurre in omaggio al colore della maison – la tentazione di fantasticare sul passato è forte. Un passato immaginario, certo, ma così abilmente concertato (e recitato) da aver fatto strage di aspiranti Audrey Hepburn per molti decenni a venire, sin dall’uscita nelle sale, nel 1961, del film che avrebbe reso immortale la gioielleria sulla Fifth Avenue, e con lei la briosa protagonista di Colazione da Tiffany, furba, squattrinata, elegante in modo irresistibile. Il titolo della pellicola, dal romanzo di Truman Capote, è perlopiù fuorviante: solo all’inizio del film, nella prima scena in cui compare in azione, Holly consuma rapidamente la sua colazione fantasticando davanti alle vetrine della gioielleria. Ma all’indomani dell’inaugurazione del ristorante di Tiffany, al quarto piano dell’edificio che ospita il flagship store di Manhattan, è difficile resistere alla tentazione di associare finzione e realtà. Il titolo è già pronto, scolpito negli annali della storia del cinema: Colazione da Tiffany. E l’operazione è stata resa possibile dal restauro di uno storico spazio che oggi si presenta inconfondibilmente griffato, dagli arredi alle pareti, alle stoviglie, total light blue, e già attira lunghe file di clienti desiderosi di sorseggiare un caffè da Tiffany. O meglio, al Blue Box Cafè, come recita l’insegna ideata da Reed Krakoff, direttore artistico del marchio.

Di lusso moderno si parla per identificare un’esperienza certo non alla portata di tutte le tasche, ma comunque accessibile (a patto di trovare posto, non si accettano prenotazioni), con la colazione rinforzata da 29 dollari – caffè e croissant e poi a scelta, toast all’avocado, uova tartufate, salmone e bagel – e il pranzo a prezzo fisso servito per 39 dollari, che però danno diritto solo a un antipasto e a un’insalata. Per l’ora del tè, invece, la spesa sale a 49 dollari, con una selezione di snack salati e dolci, e piccoli sandwich. Ma volendo ci si può accomodare solo per un caffè (5 dollari) e una fetta di torta al cioccolato (12). Un menu semplice, quindi, senza troppi colpi di scena, perché certo non sarà la bontà dell’offerta gastronomica (anche se dalla casa sottolineano la stagionalità e la qualità dei prodotti, ripensati alla maniera “unica” di Tiffany) a fare il successo di quella che molti considerano un’efficace trovata commerciale per far parlare di sé. La riapertura del quarto piano, tra l’altro, ha portato all’esordio contestuale di un negozio di articoli per la casa firmati Tiffany, che lancia un nuovo catalogo di oggetti pronti a diventare un must, e non smentisce la sua fama: “questa nuova collezione innalza banali oggetti di uso comune e li trasforma in qualcosa di cui non si potrà più fare a meno”. Un set di due tazze, per esempio, si porta a casa con 95 dollari, ma chi ha sempre desiderato una ciotola firmata per il suo cane, può averla per 125 dollari; più economica la mug souvenir da 55 dollari. Chiara l’intenzione di risollevare le sorti di un’azienda che, per quanto solida e longeva (fondata nel 1837, alla metà degli anni Cinquanta è l’emblema del lusso americano), negli ultimi anni ha accusato la crisi, con vendite e guadagni in calo, e una concorrenza sempre più agguerrita. La soluzione era già in casa. Citofonare Audrey Hepburn. (Fonte Gamberosso)

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