Localismo è una delle parole-chiave per capire l’evoluzione del largo consumo in Italia. Dopo il lockdown, il 62% dei consumatori ritiene importante che un prodotto alimentare sia tipico/legato a una specifica zona e il 58% che sia fatto da piccole aziende del territorio, come emerge da un report realizzato da Nomisma per Cia. E sintetizzato in un pezzo del
Sole 24 Ore di cui riportiamo alcuni stralci.
L’avvento del Covid ha dato un colpo di acceleratore a una tendenza già in atto, rendendola più diffusa e visibile. Già prima della pandemia le aziende e i brand locali valevano in media l’8% delle vendite alimentari della Gdo (fonte Iri, iper+super), ma in cinque regioni la loro quota superava il 10%. La più “campanilista”, anche per ragioni geografiche e logistiche, è la Sardegna, con il 17,5% delle vendite di alimentari appannaggio dei prodotti isolani. Ma chi c’è dietro questi prodotti e chi sono i campioni del territorio?
«Sono centinaia di grandi aziende e migliaia di pmi – spiega Nicola De Carne di Nielsen – Tra le aziende con oltre un milione di euro di fatturato sono 690 quelle realizzano almeno il 50% del loro business in una sola regione, come Citterio e Rigamonti in Lombardia, e Arborea in Sardegna. Molto più numerose sono le aziende più piccole, le cui vendite sono concentrate per almeno il 70% nella loro regione: questo dato rispecchia la ricchezza e la biodiversità del tessuto produttivo italiano. E mostra come le aziende locali abbiano saputo restare competitive, cavalcando le nuove tendenze di mercato, e spesso anche affiancando ai loro brand anche la produzione in contoterzi»
LE PRIME 30 AZIENDE DI FOOD CHE REALIZZANO OLTRE IL 50% DEL FATTURATO IN UNA SOLA REGIONE
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Da locale a nazionale
Le aziende regionali più dinamiche sono riuscite anche a diventare leader sovraregionali e competitor importanti nel mercato nazionale o internazionale, come Divella (74% del fatturato fatto in 6 regioni del sud), Kimbo (30% delle vendite in Campania) o Garofalo, che realizza in Lombardia il 28% delle vendite della sua pasta di Gragnano Igp.
In effetti I prodotti tipici della cucina italiana, le specialità locali e i prodotti da filiera sono quelli dove le marche locali hanno un ruolo più significativo, in particolare nel latte fresco (70% di quota), nei vini Doc e Docg (38%), nella pasta fresca ripiena (25%) e nelle uova (25%). E infatti tra le aziende più radicate sul territorio ci sono aziende lattiero-caseario (come Zappalà in Sicilia), cantine, pastifici, torrefazioni (come Quarta Caffè in Puglia, Diesse e Moak in Sicilia) e produttori dolciari, come Gentilini (68% di vendite in Lazio) e Grondona (63% in Piemonte e Lombardia).
FONTE Sole 24 Ore