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Sab. Dic 21st, 2024

Entro il 2050 due persone su tre vivranno in insediamenti urbani e l’80% del cibo sarà consumato nelle città.[1] Quello stesso cibo che è già oggi tra le principali fonti di emissioni urbane. Nel 2017, nelle maggiori città del mondo, le emissioni di gas serra dovute a produzione e consumo di cibo erano il 13% del totale di quelle generate a livello urbano e nel 2050, si stima potranno crescere fino a circa il 40%.[2] In questo quadro, la pandemia da COVID-19 ha estremizzato la situazione, esponendo le fasce più vulnerabili della popolazione urbana a povertà e insicurezza alimentare e rendendo ancora più evidente la necessità di comprendere problematiche e bisogni degli insediamenti urbani in termini di produzione di cibo, distribuzione, trasporti e logistica. Il ruolo delle città (e delle municipalità) è centrale per combattere le sfide[3] della sostenibilità e per raggiungere tutti gli SDG. In questo contesto, Fondazione Barilla ha realizzato – con il Gruppo di Lavoro del Goal numero 2 di ASviS – il report “Cibo, Città, Sostenibilità. Un tema strategico per l’Agenda 2030”,per analizzare il fenomeno, identificare le buone pratiche e dare indicazioni sulle aree di interventoLo studio, presentato al Festival dello Sviluppo Sostenibile di ASviS, mostra il ruolo centrale delle città, chiamate a diventare laboratori di nuovi approcci per promuovere un sistema alimentare fondato su una gestione più sostenibile delle risorse, un accesso più equo al cibo sano e nuove forme di cittadinanza globale.

“Negli ultimi anni, le città sono state chiamate a diventare agenti del cambiamento e della ricerca di nuove soluzioni per definire sistemi alimentari più sostenibili attraverso il contrasto alla povertà alimentare, il consumo responsabile, la sostenibilità urbana. Sono convinto che le realtà urbane, con le loro politiche, possano disegnare sistemi locali in cui esplorare innovazioni di policy, attivare forme di sperimentazione sull’utilizzo agricolo degli spazi periurbani, realizzare circuiti locali di consumo e di redistribuzione alimentare su base sociale e contrastare lo spreco. Una nutrizione adeguata è da considerarsi tra i diritti umani fondamentali da tutelare e promuovere”, ha commentato Antonio Decaro, Presidente di ANCI, Sindaco di Bari.

Per comprendere come le città italiane si stanno già impegnando per realizzare politiche alimentari urbane utili a raggiungere i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU, Ipsos ha realizzato per Fondazione Barilla la prima ricerca sulle Politiche Alimentari Urbane nel nostro Paese. L’indagine – che ha coinvolto un campione di 100 tra sindaci, vicesindaci e amministratori locali – mostra che 3 Comuni su 4 hanno una buona familiarità con gli SDG e che la quasi totalità delle città ha avviato progetti per il loro perseguimento (il 75% con iniziative attive da circa tre anni). Sebbene il 94% delle città intervistate dichiari di aver lanciato negli ultimi anni – o di voler lanciare prossimamente – delle politiche alimentari urbanenella maggior parte dei casi si tratta di politiche settoriali e non ancora di politiche integrate. Gli intervistati considerano prioritarie le attività che promuovono il consumo di prodotti di qualità locali / a km0 (42%), quelle che intervengono sulla distribuzione di cibo di qualità / a Km0 nelle mense scolastiche o comunali (27% del campione) e sulla distribuzione di generi alimentari a persone vulnerabili (18%). Le politiche urbane alimentari, a detta del campione, si dovrebbero tradurre nella promozione di diete equilibrate (tema sentito al Centro-Sud (43%) e nei centri fino a 30.000 abitanti), nel sostegno all’agricoltura locale (20%) e in quella a basso impatto ambientale (26%), citate dalle realtà del Nord.

“Le città sono sempre più impegnate in interventi che coinvolgono il cibo. Promuovere politiche alimentari urbane integrate, che guardino al cibo dal campo alla tavola fino allo smaltimento, è strategico per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e quelli enunciati dalla strategia europea Farm to Fork. Le nostre città possono agire in modo diretto o indiretto in numerosi settori legati all’alimentazione: dai mercati rionali alle mense scolastiche, dagli orti urbani alla lotta allo spreco alimentare. Si stima, ad esempio che una politica di prevenzione e riduzione dello spreco a livello urbano, nel mondo, comporterebbe minori emissioni per circa 4.3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente[4]. La stessa quantità di CO2 risparmiata se 1,5 miliardi di tonnellate di rifiuti venissero riciclati invece che finire in discarica. Una food policy integrata è quindi cruciale per coordinare tutti i settori e promuovere stili di vita sani e sostenibili”, ha dichiarato Marta Antonelli, Direttore della Ricerca della Fondazione Barilla.

“La crisi pandemica ha acceso una luce importante sulla filiera agroalimentare e sul ruolo delle città, facendo toccare con mano la fragilità dei sistemi alimentari urbani che oramai diamo per scontati. Chi di noi non ha temuto durante il lockdown uno stravolgimento delle abitudini alimentari? Chi di noi non ha temuto la fine di un approvvigionamento? Ebbene dietro tutto ciò ci sono scelte aziendali, lavoratori, gli amministratori. La crisi ha fatto emergere le interconnessioni tra tutti i fenomeni, tra i diversi comparti, tra le condizioni economiche, sociali e ambientali. Questa interconnessione è particolarmente evidente nelle città che, quando dotate di food policy urbane, possono promuovere una visione integrata del cibo in grado di toccare tutti gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Proprio come ci insegna l’Agenda 2030, che deve guidarci verso un futuro sostenibile” – ha dichiarato Enrico Giovannini, Portavoce dell’ASviS.

FONDAZIONE BARILLA: 10 RACCOMADAZIONI PER GLI AMMINISTRATORI LOCALI

L’Italia è tra i maggiori produttori agricoli dell’UE ed esporta più di 43 miliardi di euro di prodotti alimentari.[5] Tuttavia, il nostro Paese deve ancora far fronte ad una serie di sfide[6] (ad esempio elevati livelli di degrado dei suoli agricoli, una grande pressione sulle risorse ittiche, elevate emissioni agricole, un’età media degli agricoltori ancora elevata (57 anni).[7] Lo studio “Cibo, Città, Sostenibilità. Un tema strategico per l’Agenda 2030” evidenzia come alcuni obiettivi siano raggiungibili solamente tramite il coinvolgimento delle amministrazioni locali. Fondazione Barilla con il Gruppo di Lavoro del Goal numero 2 di ASviS ha elaborato 10 raccomandazioni che – se messe a sistema – contribuirebbero a risolvere problematiche ambientali, sociali ed economiche, fornendo opportunità di riorganizzazione, sistematizzazione e riordino normativo delle filiere del cibo:

  1. Pianificare una Strategia e Politica sul Cibo a livello urbano: le città sono veri e propri laboratori di sostenibilità in grado di influenzare tutti gli SDG con politiche alimentari urbane dedicate. Una strategia già applicata dal comune di Milano[8] che ha dimostrato come guardare a questi obiettivi possa essere strategico. Un esempio su tutti, l’iniziativa, avviata durante la pandemia, “Dispositivo di Aiuto Alimentare”, grazie alla quale è stato possibile ridistribuire circa 600 tonnellate di cibo, raggiungendo più di 20.000 persone.[9]
  2. Le città devono garantire a tutti il diritto di avere accesso a cibo sano e nutriente, riducendo le disuguaglianze socioeconomiche, prevenendo la diffusione di malattie croniche non trasmissibili ed evitando l’emergere dei “deserti alimentari”. È quello che ha fatto Londra, che ha vietato alle aziende di fare pubblicità ai prodotti che non contribuiscono all’adozione di una dieta sana dai propri mezzi pubblici (autobus, metro…), esortandole a prediligere immagini di cibi salutari[10]
  3. Progettare e dare vita a un sistema di mense scolastiche e pubbliche sostenibili, in grado di promuovere le filiere corte, sostenere la transizione verso l’agricoltura biologica e lottare contro gli sprechi. Le città di Fano, Cremona e Bergamo sono andate in questa direzione: i loro menù scolastici risultano tra i più sani e sostenibili d’Italia[11]
  4. Costruire una cultura del cibo fondata sul concetto di dieta varia e sana, così come fatto a Copenaghen, che ha avviato una serie di programmi educativi per sensibilizzare docenti, studenti e genitori ad adottare regimi alimentari sani e sostenibili e che propone menù sani e bilanciati all’interno delle proprie mense pubbliche[12]
  5. Promuovere l’innovazione di prodotto e di processo, perché ripensare l’approccio al cibo significa produrre prodotti sani e sostenibili che rispettino la tradizione alimentare della comunità, ricorrendo a processi che ne riducano l’impatto sull’ambiente e promuovendo una logistica differente. A Lione, durante il lockdown, è stato lanciato un tool per consentire a 350 aziende agricole locali di vendere i prodotti online[13]
  6. Rafforzare le connessioni positive tra ambiente e cibo anche attraverso la multifunzionalità dell’agricoltura urbana e periurbana. Il sistema di produzione del cibo, infatti, incide significativamente sulla salute del Pianeta, quindi i sistemi alimentari del futuro dovranno essere fondati sulle interazioni tra cibo, salute umana e degli ecosistemi. A Parigi vengono offerti lotti di terreno a chi vuole coltivare il proprio cibo in città, trasformando la Capitale francese nella più grande rooftop farm d’Europa[14]
  7. Rendere i sistemi alimentari urbani più resilienti, riducendo la dipendenza delle città da filiere alimentari lunghe, accorciando le distanze tra produttori e consumatori. A Quito è stato sviluppato il piano “Quito resiliente” per incentivare meccanismi partecipativi, aumentare la sicurezza alimentare, proteggere i cittadini[15]
  8. Disegnare le filiere della solidarietà per proteggere le fasce più deboli della popolazione come anziani, indigenti e bambini. Mappare la filiera rende possibile supportare queste categorie, attraverso intermediari (es. gli enti caritatevoli) o con forme di aiuto pubblico diretto. Bologna ha lanciato l’iniziativa “l’Unione fa la spesa”, un sistema di consegna a domicilio di prodotti alimentari e farmaceutici per le persone più in difficoltà[16]
  9. Rafforzare, democratizzare e localizzare la pianificazione dei sistemi alimentari. Agricoltori, imprese di trasformazione e distribuzione, organizzazioni sociali e ambientali, operatori sanitari, consumatori, ricercatori e amministratori sono chiamati ad agire sinergicamente per creare un sistema armonizzato in tutte le sue fasi. Roma ha costituito il Consiglio del Cibo della Città, realtà che riunisce tutti gli attori della filiera e accompagna l’amministrazione verso la costituzione di una Food Policy urbana[17]
  10. Mappare i sistemi locali del cibo, per avere a disposizione i dati necessari per indirizzare le scelte politiche e adeguarle al mutare del contesto. New York, a seguito dell’aumento di persone bisognose di assistenza alimentare durante l’emergenza COVID-19, ha lanciato il programma “Feeding New York” per mappare le “aree del bisogno” e disegnare politiche ad hoc per contrastare l’aumento del fenomeno.[18]

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