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Ven. Nov 22nd, 2024
Edelman

Diffusi oggi i dati dell’indagine “Edelman Trust Barometer 2021 Special Report: Trust, The New Brand Equity” sul rapporto tra consumatori, brand e fiducia in 14 mercati internazionali.

Consumatori sempre più consapevoli della loro influenza e protagonisti dei cambiamenti sul mercato e brand che da un lato hanno la necessità di investire strategicamente nella costruzione di un rapporto basato sull’elemento fiducia che è ormai la chiave per il successo e dall’altro hanno una possibilità senza precedenti di migliorare la società. E’ in estrema sintesi il quadro delineato dall’indagine” Edelman Trust Barometer 2021 Special Report: Trust, The New Brand Equity” che ha analizzato gli orientamenti verso i brand di 14.000 consumatori in 14 mercati (Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Messico, Arabia Saudita, Sudafrica, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti).

L’indagine ha messo in evidenza che l’elemento fiducia guida la crescita visto che il 61% del campione è pronto a diventare un vero e proprio testimonial di un brand se ripone in esso piena fiducia, il 57% è pronto ad acquistare un nuovo prodotto o servizio e il 31% a condividere dati personali o a partecipare ad attività sponsorizzate. Il 78% del campione è convinto di poter spingere i brand a cambiare il proprio impatto sulla società e il 40% afferma di non acquistare alcuni brand che pure ama perché non ha abbastanza fiducia nell’azienda che li possiede.

L’86% dei consumatori si aspetta che i brand intraprendano azioni che vadano al di là dei prodotti e dei servizi offerti e l’orientamento verso il sociale dei consumatori è confermato dal dato in base al quale il 63% degli stessi è maggiormente attratto da brand che si impegnano nel rendere il mondo un posto migliore, rispetto al 37% che è attratto da quelle aziende che si concentrano sul migliorare la condizione del consumatore.

Il valore del “noi” si afferma rispetto alla dimensione personale nel definire quei brand con una identità culturale forte. I consumatori, infatti, nel 38% dei casi affermano che un brand deve riflettere i valori sociali per essere culturalmente rilevante, il 33% ritiene che debba soddisfare nuovi bisogni della società, il 32% ritiene importante l’impegno nel cambiare in meglio le interazioni sociali.

Quei brand concentrati solo sugli aspetti funzionali ottengono un punteggio di 27 nell’indice di fiducia Edelman Brand Trust Score ma quelli che sono in grado di operare un cambiamento culturale ottengono un punteggio di 65. L’indagine inoltre rileva che i consumatori sono 4,5 volte più propensi ad acquistare un brand attento al tema dei diritti umani, 4 volte di più se combatte il razzismo e 3,5 volte di più se è sensibile alle disuguaglianze economiche.

L’indagine mette in evidenza che quei brand in grado di saper operare un cambiamento culturale migliorano le proprie performance relative a tutte le 5 dimensioni della fiducia, rispetto a quelle aziende che si focalizzano unicamente sugli aspetti funzionali del prodotto.

Aspetti come i diritti dei lavoratori, compresa una paga ragionevole e una riapertura in sicurezza sono ritenuti strategici per costruire una solida fiducia nel brand.

“Possiamo definire quella attuale come l’era della fiducia e i brand devono saper agire di conseguenza operando in modo differente rispetto al passato. Oggi il valore del brand non si misura più solo in termini di fedeltà del consumatore, notorietà e qualità percepita ma le aziende operano ormai in uno scenario complesso in cui si intersecano aspetti culturali, di responsabilità e di attenzione al sociale – ha affermato Fiorella Passoni, General Manager di Edelman Italia – Le aziende devono essere concepite come attori che operano per la gente e guidati dalla gente perché, come l’indagine nostra chiaramente, la fiducia verso il brand pesa di più dell’amore verso il brand stesso. Tutte le comunicazioni aziendali dovranno quindi essere ideate in una logica multi-stakeholder perché i consumatori sono attenti non solo ai brand che acquistano ma anche alle aziende che li possiedono e ai dipendenti che vi lavorano.”

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