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Dom. Dic 22nd, 2024

Secondo il nuovo rapporto “Fixing the Business of Food” di Fondazione Barilla, in collaborazione con il Columbia Center on Sustainable Investment (CCSI), il Sustainable Development Solutions Network (SDSN) e il Santa Chiara Lab dell’Università di Siena (SCL), solo il 10% delle più grandi aziende globali del settore agroalimentare si impegna pienamente nella promozione di diete sane e sostenibili.

I prossimi 9 anni saranno decisivi per risanare la crisi dei sistemi alimentari mondiali, così “insostenibili” oggi da costringere quasi la metà della popolazione globale a soffrire uno stato di malnutrizione, tra gli estremi della denutrizione e dello sviluppo di patologie come obesità, diabete e altri disturbi metabolici (circa il 40% della popolazione mondiale non può permettersi di seguire una dieta sana ed equilibrata)[1]. Il settore dell’agro-business ha compiuto negli anni numerosi passi avanti per allinearsi agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDG) e all’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici per migliorare la sostenibilità finanziaria, sociale, ambientale e legale, ma la transizione va accelerata. A rivelarlo, il recente studio Fixing the Business of Food condotto da Fondazione Barilla, il Columbia Center on Sustainable Investment (CCSI), il Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite, e il Santa Chiara Lab dell’Università di Siena (SCL), che verrà presentato oggi – 16 settembre- nel corso dell’evento online “Fixing the Business of Food – Private Sector Alignment with the SDGs and Accountability to Achieve Food Systems Transformation”. Dall’analisi emerge, per esempio, che solo il 10% delle più grandi aziende del Food & Beverage è impegnata a promuovere la diffusione di modelli alimentari sani e sostenibili attraverso la commercializzazione dei propri prodotti, mentre nessuna delle realtà esaminate ha fissato e pubblicato obiettivi legati alla gestione sostenibile della catena di approvvigionamento o alla protezione dei diritti su terra e acqua.

A una settimana esatta dall’avvio del UN Food System Summit di New York, il rapporto Fixing the Business of Food si configura dunque come una preziosa risorsa per le aziende della filiera agroalimentare e i principali stakeholder, una guida e un invito concreto ad avviare quanto prima tutte le azioni necessarie per contribuire al cambiamento attraverso la trasformazione dei sistemi alimentari.

 “A livello globale i nostri sistemi alimentari non sono sostenibili e non è assicurata un’adeguata alimentazione a tutti gli abitanti del Pianeta – ha sottolineato Guido Barilla, Presidente del Gruppo Barilla e della Fondazione Barilla-. Allo stesso tempo, i cambiamenti climatici mettono a rischio il futuro dell’agricoltura. È arrivato il momento di ripensare il sistema, per poterlo ricostruire e renderlo migliore. Per riuscirci è necessario ripensare le agende dell’industria alimentare e della finanza e sostenere il settore agroalimentare affinché esso sia di nuovo protagonista del cambiamento e possa imprimere un impatto positivo sull’ecosistema e sull’intera società. Il cibo è un bene comune che sta al cuore della nostra società, della nostra cultura, della nostra vita”.

L’ANALISI DEI RAPPORTI DI SOSTENIBILITÀ E LO SFORZO RICHIESTO ALLE AZIENDE: I NUMERI

Dal report emergono chiaramente quali siano i margini di miglioramento del settore agroalimentare e lo sforzo cui tendere soprattutto in materia di rendicontazione delle pratiche sostenibili, considerata la scarsa sistematicità e le lacune dei rapporti di sostenibilità. Questi mancano spesso, infatti, di informazioni complete su tutti gli aspetti di sostenibilità della catena del valore, offrendo solo una visione limitata e autopromozionale del comportamento effettivo delle aziende. Solo il 10% delle più grandi aziende del Food & Beverage, ad esempio, si impegna pienamente a promuovere modelli alimentari sani e sostenibili. Inoltre, sebbene più del 90%  abbia monitorato le proprie emissioni di gas serra, solo il 22% ha fissato un obiettivo di riduzione per le emissioni nelle proprie strategie di sostenibilità. Solamente il 5% del campione esaminato ha invece  fissato dei target legati alla gestione strategica e sostenibile della catena di approvvigionamento,  mentre nessuna azienda ha definito formalmente degli impegni relativi alla protezione dei diritti su terra e acqua nella formulazione delle proprie strategie di business.

E ancora, solo il 21% delle aziende esaminate ha definito obiettivi strategici orientati alla riduzione della malnutrizione che per esempio perseguono attraverso il sostegno alle banche alimentari, e solo il 7% ha stabilito obiettivi per il monitoraggio e la lotta alla corruzione.

 “Questo rapporto fornisce un aggiornamento sull’allineamento del settore alimentare e agroalimentare con lo sviluppo sostenibile e offre linee guida per aiutare le aziende a realizzare il cambio di direzione necessario per affrontare le sfide globali più urgenti”, ha affermato il Prof. Jeffrey Sachs, Presidente del UN Sustainable Development Solutions Network (SDSN). “L’approccio che consigliamo aiuta le aziende a comprendere quale sia il loro ruolo nella trasformazione globale, ad adeguare le loro politiche e pratiche interne e quindi a riferire sulle loro azioni in modo sistematico e informativo”.

 Il Prof. Angelo Riccaboni, Chair del Santa Chiara Lab dell’Università di Siena, ha aggiunto: “Siamo all’inizio di una nuova era di sostenibilità del sistema alimentare, e le aziende alimentari dovranno porsi obiettivi nutrizionali, ambientali, sociali e di governance al centro della loro pianificazione strategica e dei modelli di business”.

IL FOUR PILLAR FRAMEWORK DI FONDAZIONE BARILLA: LE AZIONI CHIAVE PER UN CAMBIAMENTO CONCRETO

Per guidare le aziende in questa presa di coscienza necessaria al percorso di trasformazione verso un sistema alimentare più sostenibile e sano, Fixing The Business of Food raccomanda di adeguare le proprie strategie e attività a quattro aree chiave (Four Pillar Framework):

  1. promuovere e sviluppare diete sane e sostenibili attraverso prodotti e strategie aziendali mirati 
  2. utilizzare pratiche operative e processi aziendali sostenibili dal punto di vista economico, ambientale e sociale 
  3. sviluppare filiere alimentari sostenibili 
  4. avere un atteggiamento aziendale responsabile, secondo i criteri della “good corporate citizenship” 

Queste azioni, se introdotte dalla maggioranza delle aziende, non solo permetterebbero un cambiamento concreto dei sistemi alimentari globali, ma risulterebbero premianti anche dal punto di vista delle performance aziendali. I dati dimostrano infatti che, complice una maggiore sensibilità dei consumatori rispetto ai temi della sostenibilità, le aziende che compiono scelte più sostenibili sperimentano maggiori benefici in termini di resilienza (anche in momenti di crisi come l’attuale pandemia di Covid-19), reattività e crescita. In Italia, per esempio, entro il 2021, si stima che le imprese virtuose vedranno crescere i loro fatturati e l’export di almeno il 6% e l’occupazione del 3% rispetto ai competitor “non sostenibili”[2].

Anche i numeri dimostrano dunque che “sostenibilità” è di fatto la parola d’ordine per realizzare uno scenario in cui a vincere sono tutti, l’ecosistema nella sua interezza. “Le aziende alimentari da sole non possono porre fine al riscaldamento globale, controllare le scelte alimentari del pubblico, sconfiggere la povertà o prevenire la perdita e lo spreco di cibo, ma possono svolgere un ruolo importante, un ruolo che spesso neanche si riconoscono pienamente” ha affermato la dott.ssa Marta Antonelli, responsabile della ricerca presso la Fondazione Barilla.

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