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Sab. Dic 21st, 2024

Non è facile comprendere lo stato di salute del comparto del caffè, in un inizio d’anno così carico di preoccupazioni. Ma il rincaro del costo della materia prima al grezzo, che si riversa sulla filiera delle 927 torrefazioni italiane e a cascata sui pubblici esercizi e consumatori, arrivando a sfiorare 1,50€ a tazzina, ha delle cause ben definite.

I dati parlano chiaro: rispetto all’anno precedente nel 2021 abbiamo assistito ad un aumento sostanziale delle importazioni, che segnano un +5,5% per il caffè verde e +21,2% per il decaffeinizzato non torrefatto. Un giro d’affari di oltre 982 milioni di euro di import del caffè verde, rispetto ai 930 milioni di euro del 2020 (dati Istat).

In controtendenza l’export della materia prima, che nel 2021 si riduce del 3,8% per il green coffee e del 14,7% per la materia prima decaffeinizzata: da oltre 41 milioni cala a 38 milioni di euro.

“Il periodo del lockdown ha inevitabilmente rallentato l’approvvigionamento delle materie prime: molte torrefazioni hanno ridotto gli stock in magazzino durante il periodo di chiusure, per poi incrementarli con la ripresa post lockdown del 2021” afferma Alessandro Bianchin, CEO di Bin Caffè e Presidente del Gruppo Italiano Torrefattori di Caffè.

Un effetto elastico che avrebbe portato alle attuali difficoltà nei porti di imbarco, luogo in cui si è verificato il congestionamento del traffico e soprattutto complessità nel reperimento di container adatti al trasporto della materia prima. L’approvvigionamento ora richiede tempi molto lunghi.

Ad aggiungersi alle complicazioni che pesano sugli oltre 10.553 addetti del settore (fonte Unioncamere-Infocamere) il cambiamento climatico, causa della forte irregolarità dei raccolti e la speculazione finanziaria internazionale, che come al solito si accoda alla crisi, operando in Borsa senza ritirare il fisico ma gestendo entrate e uscite con strategie di tipo speculativo. Le quotazioni del caffè nelle borse di Londra e New York registrano infatti, da oltre un anno, un trend rialzista dell’80% per il caffè Arabica e del 70% per la Robusta.

“La fase di difficoltà ha però i mesi contati: il caffè italiano è riconosciuto nel mondo e ha voglia di ripartire, ma è importante che le aziende cambino o integrino i propri modelli di business – ribadisce Bianchin – Non lasceremo scadere la qualità per abbattere i costi anzi, il futuro richiede una selezione sempre più accurata della materia prima anche nel canale home.”

È inevitabile che la crisi del settore porterà a dinamiche differenti sia nell’approccio dei consumatori che nelle strategie commerciali delle torrefazioni. Per ora, l’aggiornamento dei bandi per usufruire di contributi volti all’internazionalizzazione, che ora sono terminati, sarebbero d’aiuto oltre alle agevolazioni a lungo respiro e a tutela dei consumatori. 

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