Nomen omen: gli antichi già avvisavano che nel nome c’è il destino del soggetto e oggi lo confermano gli studi di marketing, anche nel settore dei bar e dei locali in genere. Bar Wars, costola della MIXOLOGY Academy, quale osservatorio nato per dare consulenza a professionisti e imprenditori del settore n tempo di pandemia e dintorni, solleva ora la questione perché è tra quelle importanti per recuperare il terreno perduto con i lockdown, i green pass, etc.
“Nel 90% dei casi l’insegna dei locali in Italia è toppata – lancia l’allarme Ilias Contreas, cofondatore e direttore di Bar Wars. Non è un dettaglio: come può rimanere in mente e attirare una insegna che non comunica i valori del locale? D’altronde la noncuranza delle insegne rientra nella scarsa competenza in marketing e comunicazione tipica dei professionisti e degli imprenditori nel campo dei bar e dei locali. Motivo per cui ogni anno in Italia aprono e chiudono facilmente moltissime attività. Bar Wars è nata proprio per accompagnare in un percorso di crescita gli operatori di questo mercato offrendo sia servizi di formazione gratuiti sia a pagamento su diverse piattaforme”.
Al momento, in Italia, spiega Ilias Contreas, possiamo classificare 4 tipi di insegne:
- con descrizione generica: caffetteria, bar, lounge bar, cocktail bar. Spesso anche con dei mix di cose che non c’entrano nulla, come bar-pizzeria, bar-ristorante o discolounge-cappuccineria. Dichiarazione priva di contenuto differenziante perfino “con retrogusto Anni ’50”;
- con descrizione generica+nome di battesimo (di solito quello del titolare o della moglie o figlia o fidanzata). Scelta di quelli che sono concentrati su loro stessi invece che sui criteri di scelta dei propri clienti: devono dire al mondo che quello è il loro bar. “Capisco benissimo l’orgoglio che si prova quando si avvia un proprio locale – commenta Contreas – ma a parte i familiari e gli amici, questa informazione in realtà non serve affatto al business”.
- Con nome di fantasia. Sono nomi totalmente inventati, ma a caso. “Ieri sono passato di fronte a un bar che si chiama “SHOCK…ATI” , terribile. E non è nemmeno la cosa peggiore che mi è capitata nella stessa giornata. Al genio che l’ha ideata vorrei chiedere: quale messaggio hai affidato a questo orribile gioco di lettering? A chi legge l’insegna non dice cosa fa e per chi lo fa, rendendola ancora più inutile di quelle scritte al contrario, per non pagarci sopra le imposte!”;
- Insegna-marchio. Spiega Contreas: “Questa insegna, raramente avvistata nell’entroterra della penisola italica e dichiarata contemporaneamente dall’UNESCO patrimonio dell’umanità e dal WWF specie protetta, riporta un marchio coerente con la mission del locale. Peccato che la maggior parte dei gestori di bar e locali non abbiano la più pallida idea di quale sia la loro mission, né il loro “posizionamento di marca”… Fine della breve storia triste.
“9 insegne su 10, da Nord a Sud, sono per lo più inutili perché l’insegna dovrebbe attirare clienti, ma di fatto in Italia questo non succede praticamente mai. Se un locale non ha una mission, se non risolve dei problemi specifici a qualcuno che non sia fornire la bottiglietta d’acqua nel preciso istante in cui il tizio di turno ha sete, o il bagno pubblico, non può diventare un “brand” e di conseguenza non può avere un’insegna che funzioni. Senza una mission, un bar è solo un posto che vende dei prodotti, li serve al banco o al tavolo, ma non c’è un motivo vero per cui le persone dovrebbero venire a consumare lì invece che altrove”.
C’è chi crede di poter riconquistare il mercato abbassando i prezzi ma questo è il primo passo verso il baratro del fallimento: “Non esiste infatti un prezzo onesto ma esiste un’offerta che risponde a una domanda e più la domanda è alta, più ci sono persone che vogliono comprare, più il prezzo si può alzare. E se la domanda aumenta e ti fa crescere è solo perché hai un brand che funziona, che risponde a dei desideri percepiti come importanti dalle persone.”
Tuttavia, solo se hai un brand tutto questo è possibile.