Getta acqua sul fuoco della polemica sulla mancanza di personale nella ristorazione, Gabriele Bianchi: il cameriere-influencer, recentemente consacrato da Forbes tra i 5 nomi più influenti del food italiano, interviene sulla querelle sollevata da Alessandro Borghese ed esordisce ricordando che tra gli addetti ai lavori questo delicato tema è dibattuto già da diversi mesi.
“Sono certo che Alessandro Borghese non intendesse offendere nessuno – spiega Gabriele Bianchi, al fianco delle giovani leve con il progetto Rivoluzione Sala che da due anni porta negli istituti alberghieri d’Italia – ma non posso essere d’accordo con le sue posizioni, soprattutto perché racconta un tempo che non c’è più: nel nostro Paese non c’è più il benessere economico con cui i nostri genitori, e la sua generazione, sono cresciuti.
Ascolto tante testimonianze e vedo rispecchiati i miei esordi: non mi sarei potuto permettere alcuna esperienza lavorativa senza riscuotere uno stipendio, perché non avrei avuto di che arrivare a fine mese. Non credo che l’assunto ultimo delle parole di Borghese sia che per iniziare a fare esperienza nel campo della ristorazione occorra appartenere a famiglie benestanti, né credo volesse sottolineare che i giovani non hanno voglia di lavorare o spirito di sacrificio. E’ vero il contrario: le scuole italiane – aggiunge Gabriele Bianchi, cui proprio qualche giorno fa Rai2 Costume & Società ha dedicato un ampio servizio – sono piene di ragazze e ragazzi che vogliono iniziare a lavorare, nonostante il settore non viva momenti particolarmente floridi. Credo sia il caso forse di trovare una nuova forma di comunicazione con gli studenti, far si che la passione possa tornare a far brillare loro gli occhi”.
Appena pochi giorni fa, intervenendo al GTO Conference a Catania, Gabriele Bianchi sottolineava le problematiche per cui non si trova facilmente personale: “Non dimentichiamo lo stile di vita massacrante cui camerieri e personale di cucina sono costretti, agli esordi: mangiare velocemente, riposare una mezz’ora in luoghi non adeguati, magari dormire in alloggi fatiscenti in città lontane da casa. Parliamo di persone che per anni (prima del Covid, naturalmente) andavano a lavoro anche con la febbre perché altrimenti venivano massacrate da colleghi e datori di lavoro, e non entro nel merito degli orari di lavoro né degli stipendi. Non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, perché il nostro Paese è pieno di strutture che sanno coniugare l’efficienza a un approccio etico. Ma per far tornare a brillare questo settore – conclude Bianchi – bisogna trovare un nuovo metodo di comunicazione per parlare con i giovani, formarli adeguatamente, e trovare soluzione concrete per garantire loro un benessere di vita personale e professionale”.