La bottiglia: forma rettangolare «a mattone», angoli smussati. E il tappo: grosso e scuro, forma di prisma, lettere dorate incise sulle facce. Presi separatamente, i due elementi evocano qualcosa, ma non la forma complessiva. È solo quando sono insieme, bottiglia e tappo, che formano la «sagoma» del «Disaronno»: liquore alla mandorla, una delle icone dell’industria e dello stile italiani, storia secolare, distribuzione in 160 Paesi. È proprio intorno all’unicità e originalità di quella «sagoma», composta da tappo e bottiglia (ed etichetta dorata, tutti marchi registrati), che da anni è in corso davanti al Tribunale, alla Corte d’Appello di Milano e alla Cassazione una battaglia legale rimasta finora sotto traccia, ma in qualche modo «epocale» nelle controversie giuridiche sulla contraffazione. Basta considerare chi è la controparte che l’azienda di Saronno accusa di aver «copiato», prodotto e commercializzato in Italia e in Europa un amaretto che, nella «confezione», replicherebbe in forma ingannevole l’originale: il gruppo Lidl, colosso tedesco dei discount, che solo in Italia ha 20 mila dipendenti e 700 supermercati. E’ quanto scrive Gianni Santucci sul Corriere.it.
Illva Saronno ha vinto nei primi due gradi di giudizio contro Lidl Italia e, in un processo parallelo, ha appena incassato un altro successo dalle sezioni unite della Cassazione: anche la causa contro la «casa madre» in Germania si svolgerà di fronte a un giudice italiano. «Contraffazione del marchio e concorrenza sleale». Questo Illva Saronno (assistita dai legali Stefano de Bosio e Giuliano Vecchione) contesta alla Stiftung, la fondazione tedesca del gruppo Schwarz a cui oggi fanno capo supermercati e discount in 31 Paesi del mondo. E qui sta un elemento chiave, perché già durante il primo grado di giudizio contro Lidl Italia s’è scoperto che il 90 per cento delle bottiglie, presunte copie dell’originale, venivano vendute all’estero, oppure online, e per questo Lidl Italia si è «chiamata fuori» dal 90 per cento della contestazione. Ecco perché la prima causa (della quale s’attende la conclusione in Cassazione, e in seguito l’eventuale risarcimento in sede civile) s’è svolta pacificamente in ambito italiano: la seconda però si è allargata verso la casa madre in Germania, secondo Illva Sarono responsabile del restante 90 per cento dell’ipotizzata contraffazione.
E si arriva così alla sentenza delle sezioni unite della Corte suprema, pubblicata lo scorso 29 aprile. La bottiglia presunta «imitazione» ha un nome: Armilar. Per avere un’idea: quando l’azienda di Saronno chiede che il prodotto della Lidl sia ritirato dal commercio, si parla di 11 milioni di bottiglie. Il liquore della Lidl, pur se la «testa» dell’azienda è in Germania, viene prodotto per Lidl in provincia di Modena dalla «Casoni fabbricazione liquori Spa», una delle più antiche distillerie italiane, con oltre 200 anni di storia. Davanti alla Cassazione, i vertici delle aziende tedesche hanno sostenuto di «non aver mai prodotto, venduto o esportato la bottiglia “Armilar”», attività che sarebbero «imputabili esclusivamente alla Casoni», anche se la proprietà del marchio europeo della bottiglia è appunto della Lidl. In questa ricostruzione, «non ci sarebbe prova della commissione di attività illecite in Italia». La Cassazione invece, spiega l’avvocato Stefano de Bosio, «verificando che il “mandante” del progetto commerciale possa essere la Lidl tedesca, ha stabilito il principio che proprio il “mandante” possa essere perseguito nel Paese in cui avviene la produzione, anche se il prodotto viene poi venduto fuori dall’Italia». Anche questa costola in parte internazionale della causa sarà dunque discussa davanti al tribunale di Milano.
Nel frattempo Lidl continua a vendere anche in Italia il suo liquore alla mandorla, prodotto a Modena: la bottiglia è sempre la stessa, ma è sigillata da un semplice tappo sottile e rotondo, abbastanza anonimo, che non mima in alcun particolare quello dell’«originale». E così l’amaretto Lidl non ricorda più la «sagoma» del «Disaronno».