Lo studio di Vision & Value “Infrastrutture digitali: definizioni, effetti sui consumatori e le imprese, opzioni strategiche per massimizzarne il valore” mostra com’e’ cambiato l’orientamento della domanda e dell’offerta con il digitale.
Abstract dello studio di Vision & Value
ABSTRACT-STUDIO-VISION-VALUE_2911_compressedAbbattimento dei costi e dei prezzi, ampliamento delle possibilità di scelta e di offerta, aumento della qualità dei servizi, processi sostenibili, più elevati livelli di competitività e dell’internazionalizzazione: sono questi i principali benefici della transizione digitale in diversi settori produttivi, con grandi vantaggi per chi vende e chi acquista. Tali conclusioni sono emerse dal rapporto “Infrastrutture digitali: definizioni, effetti sui consumatori e le imprese, opzioni strategiche per massimizzarne il valore”, realizzato da Vision & Value, società di consulenza strategica, e presentato oggi a Roma, presso l’Università Luiss Guido Carli, con l’intervento di numerosi esperti da imprese, associazioni e mondo accademico.
I numeri dello studio, che si è focalizzato su sei settori (editoria, elettronica di consumo, abbigliamento, alimentari, pubblicità online e turismo), evidenziano le numerose opportunità offerte dall’online ai consumatori: nel comparto del turismo, il costo medio di un alloggio è sceso del 7,8%; nell’editoria, l’80% degli acquirenti, che vive in zone con poca presenza di librerie fisiche, ha più possibilità di accedere ai prodotti preferiti; inoltre, in tutti gli ambiti, si ha la facoltà di mettere a confronto marchi diversi per scegliere la soluzione più adatta alle proprie esigenze (al 69%, infatti, gli intervistati ammettono di preferire gli acquisti su marketplace multimarca). Nell’alimentare, sono passati dal 6% al 21% gli italiani che dichiarano di usare “spesso” la consegna di cibo a domicilio, e la spesa online è ormai un’abitudine di molti: l’e-commerce nel settore ha chiuso il 2021 con una crescita del +23% delle vendite, per un valore pari a 1.8 miliardi di euro.
D’altro canto, anche chi vende trae vantaggio dalle infrastrutture digitali, soprattutto se si considerano i piccoli e i medi operatori. Nel retail, Amazon, oltre a Meta, Google e molti altri, sta supportando imprenditori e PMI nella digitalizzazione delle proprie attività, anche attraverso partnership tra pubblico e privato. In particolare, le 20.000 PMI italiane presenti su Amazon hanno creato più di 60 mila posti di lavoro e hanno generato, nel 2021, più di 800 milioni di euro in export, evidenziando, quindi, come il digitale acceleri l’internazionalizzazione.
“Lo studio presentato oggi è preceduto da una premessa rilevante soprattutto per la politica: sia l’Europa sia l’Italia registrano un ritardo in merito ai grandi processi di innovazione dominati dagli Stati Uniti e dalla Cina. Appare improprio – ha osservato Francesco Grillo, Amministratore Delegato Vision & Value e Fellow dell’European University Institute, – utilizzare il termine “piattaforma digitale” per identificare imprese che sono tra di loro assai diverse. Per questa ragione lo studio adotta il termine “infrastruttura digitale” per definirle. Sono distinti i modelli di business, la profittabilità, i mercati nei quali competono, i segmenti serviti e lo scope geografico. Anche l’impatto occupazionale è una discriminante: Amazon ha un numero di occupati nel mondo maggiore della somma degli occupati delle altre tredici internet companies più grandi. Neppure il grande successo nei mercati finanziari è un tratto unificante. Ormai – ha concluso Grillo – “piattaforma” è un modello tecno-organizzativo che stanno adottando tutte le imprese e l’adozione di un un approccio di policy “one size fits all” può avere effetti perversi per i consumatori e le imprese, penalizzando la spinta competitiva e innovativa del sistema Paese”.
Tale ultimo rilievo è confermato dal consolidamento della multicanalità. L’88% dei consumatori italiani ha adottato un approccio multicanale nel 2021, utilizzando quindi online e offline. In settori come l’abbigliamento e l’elettronica, dove l’aspetto sensoriale e la consulenza di un esperto restano importanti, l’esperienza di acquisto in presenza è ancora preferita.
Il digitale, dunque, non svantaggia necessariamente l’offline, anzi, spesso ne stimola l’evoluzione.
Sia le catene distributive di maggiori dimensioni che i negozi di prossimità, sia le PMI che le grandi imprese hanno ricevuto dall’irruzione di modelli di business completamente nuovi opportunità e sfide per potersi rinnovare. Ugualmente sono anche le grandi imprese “Internet native” che stanno aggiornando i propri business model sulla base dell’esperienza dei soggetti che hanno sfidato.
Ne sono esempio nel settore libri sia le librerie indipendenti che stanno sviluppando competenze da luogo di aggregazione di offerta culturale, sia il grande distributore Messaggerie che sta ridisegnando la propria logistica e sviluppando nuove modalità di “business intelligence”. Ormai tutti convergono verso modelli multicanale: Amazon che entra nel cibo con “Amazon go”, mentre Apple ha costruito il proprio brand sui negozi fisici; ma anche nel tessile Zara (con le applicazioni “click and collect), o nel consumer electronics Unieuro (con le applicazioni “mon-click”). Molto interessanti sono le partnership che si sviluppano tra due mondi che si ritenevano destinati allo scontro.
Inoltre, è interessante evidenziare che il 68% di chi compra online ritiene “abbastanza accettabile” o “molto accettabile” che vengano utilizzati i propri dati, segno che la maggiore personalizzazione è apprezzata dai consumatori.
In merito alla sostenibilità, l’e-commerce genera da 1,5 a 2,9 meno emissioni di gas serra e consente di risparmiare da quattro a nove volte il traffico generato dallo shopping nei negozi. In particolare, lo studio dimostra che il modello di Amazon, per via dell’economia di scala e la centralizzazione delle risorse, consente una razionalizzazione della logistica e, dunque, una riduzione dell’inquinamento altrimenti generato da singoli acquirenti in movimento verso i negozi fisici. Anche negli altri settori la sostenibilità diventa strategica, grazie al digitale: nell’editoria, il print on demand riduce le stampe non necessarie; nell’abbigliamento, intermediari digitali come Vinted e Depop hanno facilitato la crescita del second hand (il cui valore è stimato a 70 miliardi nel mondo 2025); nell’alimentare i supermercati del futuro e i frigoriferi intelligenti consentiranno di evitare situazioni di “overstocking” e di proporre un’offerta “on-demand”.
La ricerca di Vision & Value, attraverso 155 pagine di analisi di dati pubblici, letteratura scientifica, interviste a manager, imprenditori, consulenti aziendali e accademici, esplora come le innovazioni radicali proposte dalle cosiddette “piattaforme digitali” – o meglio, “infrastrutture digitali” come dovrebbero essere più propriamente definite – cambiano i livelli di competizione, il benessere dei consumatori e la crescita delle imprese nei sei settori analizzati. Lo studio è introdotto da un’analisi sugli elementi che accomunano e differenziano le diverse “infrastrutture digitali” (per esempio Meta, Google, eBay, Amazon ed Expedia, tra le altre), e propone una tassonomia che può fornire strumenti utili a comprendere fenomeni in rapidissima evoluzione.
Lo studio e il convegno, tenutosi oggi, si propongono di promuovere un confronto per eliminare alcuni pregiudizi che rischiano di produrre politiche non efficienti e di disperdere il potenziale che l’innovazione radicale creata dalle infrastrutture digitali genera. L’ “infrastruttura digitale” è, ormai, una modalità organizzativa – tecnologica e non un mercato (da regolare) o un gruppo omogeneo di imprese. Pertanto, lo studio sottolinea che concepire il mondo digitale come stabile rappresenta un errore di valutazione. Dunque, la sfida che le istituzioni hanno davanti a sé è quella di regolare un mondo in rapida evoluzione, ponendo un problema anche cognitivo.