Dopo Francia, Germania e Spagna anche in Italia sta arrivando il trend dei vini No-Lo o NOLO, acronimo di No o Low Alcol (zero alcol o a bassa gradazione alcolica).
Per molti produttori lungimiranti – scrive Businesspeople – è, dunque, il momento di investire in una nicchia di mercato decisamente in espansione. Dimostrazione ne è il fatto che ormai nei ristoranti di fascia alta e negli alberghi di lusso esistono più di una opzione di no alcol o low alcol wines, la cosiddetta categoria No-Lo.
Partiamo però da una prima distinzione: da una parte ci sono mosti stabilizzati, in pratica dei succhi d’uva che imitano il gusto del vino ma che non hanno mai visto una molecola di alcol, dall’altra vini veri e propri dai quali l’alcol è stato rimosso mediante procedimenti fisici e chimici. Qualunque sia la tecnica utilizzata, quello che si ottiene è un prodotto che mantiene acidità e gusto, ma che necessita di zucchero e altra morbidezza per riottenere l’equilibrio originario ed è uno dei motivi per cui i primi prodotti dealcolati sono stati bollicine dove l’aggiunta di zucchero al termine del processo di vinificazione è un processo standard.
Il settore è in fermento e si parla per il 2022 di un fatturato complessivo in Europa di 322 milioni di euro e quasi 2 miliardi tra Usa e Australia.
Quello che serve – ribadisce Businesspeople – è stabilire in che categoria questi prodotti debbano essere presentati al consumatore: è giusto che si chiami “vino” una bevanda che lo è stato e ha perso l’alcol alla pari di una che ne imita il sapore, ma che ha un legame più naturale e diretto con l’uva?
Tra i precursori in Italia abbiamo avuto Martin Foradori che con la sua Dr. Fischer in Germania ha prodotto lo Steinbock Selection Dr. Fischer nel 2021, ovvero un vino dealcolato (mediante evaporazione) cui viene aggiunta CO2 in seguito in maniera da preservare la fragranza dello spumante. Etichetta seguita a distanza di un anno dalla sua versione ferma.
Sul fronte opposto i vini (principalmente frizzanti) ottenuti a partire dal mosto d’uva senza la fermentazione e senza la rimozione dell’alcol. Rientrano in questa categoria i prodotti di Bottega (Treviso), Astoria (Zerotondo) e il successo di Kyle Minogue che ha affiancato lo Sparkling Rosé 0% alcohol alla gamma di vini rosa provenzali e Prosecco.
Secondo Pia Bosca, amministratrice delegata di Bosca e presente in questo settore con i vini Toselli NO Alcol per primi in Italia, piuttosto che produrre vini e poi togliere alcol e aromi è preferibile concentrarsi sul gusto dell’uva con prodotti che in questo modo risultano completamente analcolici (anche in termini di certificazione Halal) piuttosto che svuotare i vini di una delle loro componenti principali.
Per Loris Casonato, già produttore di Prosecco e altri vini da autoctoni italiani a Mareno di Piave (Tv) i vini no alcol sono comunque prodotti in grado di esprimere territorio e unicità ma finora è stato molto difficile per chi investe in mosti di qualità farli apprezzare al consumatore. La sua linea BellaWine ha dimostrato che invece si può raccontare un territorio anche senza l’alcol della fermentazione. Sono molto meno i produttori che si sono cimentati nei fermi.
La cantina Luigi Sgarzi nel bolognese ha una gamma intera Villa Irene, con anche un fermo bianco e un rosso dealcolati dove il gusto non è particolarmente sacrificato sull’altare del salutismo, così come Health Wine con la gamma Princess in Trentino.