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Lun. Dic 30th, 2024

Circa 3 milioni. È questo il numero impressionante delle persone in Italia affette da disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA) nel 2023. Ma non è l’unico dato a preccupare gli esperti perché a patire le conseguenze di questi disturbi egosintonici, infatti, sono perlopiù bambini e adolescenti ancora in età pre-puberale.

Se disturbi come l’anoressia e la bulimia erano in passato legati al sesso femminile, oggi non è più così: a soffrire di queste malattie disfunzionali della nutrizione sono soprattutto i maschi fino ai 14 anni, il cui tasso di ricovero – solo tra il 2014 e il 2018 – è aumentato del +110%.

A tracciare un quadro nitido sulla salute e il rapporto degli italiani con il cibo è l’Unicusano che nella sua ultima infografica ne studia il comportamento a tavola. Comportamento che, a leggere i numeri dello studio, è peggiorato durante la pandemia e continua ancora oggi a destare preoccupazione. Se nel 2000 i casi conclamati di DNA in Italia si aggiravano intorno ai 300mila, 23 anni dopo la percentuale di nuovi casi è salita del 113%, marchiando lo stesso fenomeno con un numero forte e difficilmente superabile: +900%.

Dall’anoressia al binge eating (ovvero abbuffate di cibo incontrollabili), passando per la bulimia nervosa e l’obesità grave. Ogni patologia riscontrata si porta dietro disagi psicologici e psichiatrici che si traducono in disturbi dell’umore, disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi della personalità, portando a popolare, in Italia, reparti di psichiatria, recupero e riabilitazione funzionale e medicina generale.

Ma non solo: secondo l’Unicusano, tra i primi cinque reparti che ospitano persone affette da DNA vi sono pediatria e neuropsichiatria infantile, segno della crescente tendenza dei giovanissimi a cadere nella trappola dei disturbi della nutrizione e del comportamento alimentare.

Disturbi che sembrano più presenti nel Centro-Nord Italia (65,7% dei casi), con in testa la Lombardia, la Toscana e il Piemonte. Secondo i dati raccolti dall’Unicusano, anche per ciò che riguarda la nutrizione il fattore 0 sembra essere l’industrializzazione. Mentre i Paesi poveri dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica non sembrano essere toccati da questo fenomeno, infatti, l’Occidente si aggiudica il primato per casi ogni 100mila persone, a confermare come questi disturbi siano culture bound syndromes (determinati dalla cultura di ogni Paese).

Se i fattori di rischio sono quelli più conosciuti, come i fattori individuali (età, personalità, genere), famigliari (dipendenze o disturbi dell’umore in famiglia, vischiosità affettiva, abusi, eccessiva attenzione al giudizio altrui) e socio-culturali (l’immagine della donna forte e di successo come una donna magra e in forma), diete e decontestualizzazione del cibo (tendenza a vedere il cibo come pericoloso o velenoso perché non senza glutine, grassi, conservanti, coloranti…) aggiungono il carico da 90 a menti spesso più sensibili.

È solo il 30% delle persone, infatti, a seguire un’alimentazione veramente salutare. Spaventano invece il consumo spropositato di zuccheri semplici e grassi saturi (raddoppiati), di formaggi, latte e dolci e di carne, a discapito di cereali e carboidrati.

A entrare in gioco, poi, è anche il fattore ambientale: carne coltivata, farine da grilli o locuste, soluzioni plant-based e regenerative food. Tutte soluzioni al centro di accese discussioni ma che potrebbero comportare una serie di vantaggi sia a livello nutritivo (e dunque salutare), sia a livello climatico-ambientale.

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