I social network hanno cambiato in fretta il modo in cui ci approcciamo al cibo e le priorità con cui lo scegliamo.
In poco più di dieci anni, scrive Linkiesta, non ci ricordiamo nemmeno com’era la vita senza i miliardi di contenuti fatti di ingredienti, piatti, bocche masticanti. E proprio nel momento in cui ci stavamo abituando a questo nuovo mondo fatto di foto obbligatoria al piatto e senso di colpa nei confronti di scelte del menu non instagrammabili, sono i social stessi a cambiare e a rimettere di nuovo tutto in discussione. E così, ancora una volta, le piattaforme social si scoprono volubili e poco affidabili per introdurre progetti di lungo termine che, in alternativa, richiederebbero costanti cambi di identità e approccio, insostenibili per chi con i social media ci lavora.
Il modo di presentare il cibo sui social è cambiato parecchio, TikTok lo ha riportato al linguaggio popolare, costringendoci – finalmente – a ritornare alla realtà. Ma non appena la realtà è approdata online, ci siamo resi conto che non è poi più dignitosa di una foto ben architettata.
Instagram, nel frattempo, ha cercato di adeguarsi spogliandosi di quella spocchia che rendeva iconici i contenuti: ora da una bellissima foto di cibo, siamo passati a una bellissima foto di cibo dopo il primo morso (che fa più realismo).
Dal cibo di nicchia, alla moda delle ricette con gli ingredienti acquistati nel discount. Sembra il reale cambio di passo che le piattaforme ci raccontano attraverso i loro sempre più numerosi utenti. Certo sì, la stagionalità, la sostenibilità, la bontà (relativa) continuano a essere sui post di tutti, ma la verità è che la comunicazione online del cibo continua a cambiare in funzione dei trend. Non di cosa è giusto o sbagliato, ma delle tendenze.
A questo si aggiunge il cambio di linguaggio, che modifica ulteriormente il racconto del cibo. Se con una foto potevamo lasciarci ispirare e trovare una chiave romantica anche in uno spaghetto al pomodoro, oggi, il video, formato più amato e premiato dall’algoritmo, non lascia spazio alla fantasia e ci racconta come stanno le cose. Nella stragrande maggioranza dei casi, ce le racconta male perché non c’è abbastanza tempo. Ma anche perché sono ancora pochi i creator che sanno come farlo.
A confermare l’evoluzione – e l’involuzione – della comunicazione sui social sono gli stessi influencer: alcuni, i nuovi, si affacciano con la propria coerenza al nuovo mondo digitale, altri, i foodblogger since 2013, hanno ormai abbandonato i loro siti di proprietà per stare in affitto su Instagram solo perché è lì la festa, ma non sappiamo ancora per quanto. E poi i creator, con i loro profili fermi allo stile dei post del 2014 mentre osservano inorriditi i nuovi arrivati prendersi la scena. Nessuno di loro sta facendo qualcosa di sbagliato, sia chiaro. Ciascuno reagisce a proprio modo, al proprio business, accorgendosi per la prima volta che le cose cambiano e non c’è nessuno che può dirgli cosa fare perché, questo, è il primo giro di giostra degli influencer.
E cosa fare? Non ne abbiamo idea, ma a giudicare da come si stanno muovendo diversi creator, un cambiamento fuori dai social sembra essere un’opzione desiderata. Non più un profilo social al centro di un business, ma è un business più tradizionale che può trarre vantaggio dall’esperienza fatta sui social.
E così, per esempio, che Stefano e Riccardo di Gnambox, il progetto social – e non solo – nato nel 2012 che ha scardinato il modo tradizionale italiano di fotografare e mostrare il cibo in foto, hanno celebrato i dieci anni di attività facendo scelte che li ha portati a più a Sud. A Lecce, per la precisione.
Dal sito di ricette, fatto di piatti semplici, buoni, bellissimi e sempre attenti al cibo di stagione, agli ospiti in cucina – un format dove chef, artisti, designer e le inspirational people portavano nella cucina del duo una loro ricetta – per poi passare agli itinerari di viaggio e al concept shop con oggetti di ricerca.
La capacità e la forza di Gnambox è stata da sempre quella di saper guardare al di fuori dei canali tradizionali, sia quando si parla di cibo che di comunicazione. E proprio al cambiare del linguaggio social, Stefano e Riccardo hanno iniziato a offrire la propria esperienza come consulenti strategici per il settore gastronomico, dell’hospitality e non solo. Galeotto l’amore per la Puglia, il progetto Gnambox è arrivato da poco a Lecce dove, secondo i ragazzi, c’è una grande voglia da parte delle aziende e delle attività locali di fare comunicazione senza per forza andare a parlarne a Milano. E se la montagna non va da Maometto, di certo Gnambox va verso il mare e i risultati si fanno già vedere. Proprio da poche settimane, è stato lanciato il progetto WOW Lecce, una mappa con gli indirizzi imperdibili della città, con una selezione by Gnambox e Francesca Pagano, consulente strategica del territorio.
Un omaggio alla città che li ha appena accolti e un progetto per presentarsi al territorio attraverso una mappa in edizione limitata e cartacea che segna un nuovo via che sa di cambiamento, di South Working e di un modo geniale di affrontare il futuro della comunicazione digitale, spostandosi lì dove ancora c’è bisogno di aiutare il business a formarsi. Se passate dal Salento, o se vi trovate già lì, sapete chi cercare.
Allontanarsi dalla capitale nazionale della comunicazione sembra essere una tendenza, a giudicare anche dal cambio di passo di Marco Bianchi che, con i suoi oltre quattrocentomila follower su Instagram si è posto come uno dei più influenti divulgatori scientifici sui temi alimentari. Per Fondazione Veronesi ha portato avanti molti progetti di comunicazione su una più sana e corretta alimentazione, ma ci ha fatto scoprire anche buoni piatti e tanti brand. Marco Bianchi negli anni è andato spesso oltre i media digital fino ad approdare anche in tv con la conduzione di Linea Verde e la partecipazione, su più stagioni, al programma di mezzogiorno di Antonella Clerici. Una professione ben avviata da parecchio tempo e che ora si è evoluta in qualcosa di più fisico: l’avvio di un home restaurant veggy.
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