Dietro le polemiche che riguardano la carne coltivata si intravedono due difetti del carattere di alcuni italiani: la protervia dell’ignoranza e l’autolesionismo scientifico e tecnologico. La Coldiretti, a supporto del Ministero dell’agricoltura, soffia sul fuoco delle polemiche per interessi propri (legittimi se dichiarasse di essere una lobby), ma lo fa con toni appunto protervi e autolesionistici.
E quanto riporta una nota Aduc che prosegue così:
Si comincia giocando con le parole. I coltivatori “coltivano” la terra, e pertanto sono sani e genuini come i loro prodotti agroalimentari. Rivendicano che la carne che non proviene da allevamenti tradizionali non possa essere chiamata “coltivata” ma definita “sintetica”. Sintetico è l’olio del motore, sintetiche sono la plastica e il silicone, quindi sintetico è sinonimo di tutto quello che deriva dal petrolio e di tutto quello che si produce in reattori chimici dentro i quali gli scienziati pazzi sintetizzano non si sa bene quali reagenti pericolosi. Insistere a chiamare sintetica la carne coltivata è stolta ignoranza o proterva malafede? Il pericolo è che il gioco di parole funzioni e attiri molto consenso. Con le parole si costruiscono i discorsi, quindi la conoscenza, la società e il mondo intero.
Non a caso a destra sono sempre piaciuti quelli che “parlano bene”, come Giorgio Almirante anni addietro e Giorgia Meloni oggi. Come razzolano, poi, interessa un po’ meno.
L’altra questione è l’autolesionismo scientifico-tecnologico, il sabotaggio sistematico della ricerca italiana, in nome della difesa di tradizioni e identità malferme. Il fatto non è da vedere come marginale o pittoresco, ma è grave per l’assoluta mancanza di visione strategica dei politici di oggi e di ieri. L’Italia dimostra storicamente di scegliere mestieri esecutivi per invenzioni fatte da altri, a scapito di creativi e innovatori. Questo, e non altro, è il senso vero della battaglia di Coldiretti e del Ministro della Sovranità Inutile (fate voi l’acronimo) contro la carne coltivata. Un esempio della storica mancanza di visione strategica in fatto di sostegno a creatività e innovazione?
Eccolo servito in tavola, preso appunto dal settore agroalimentare, tanto caro a chi per ora ci governa. Il celebratissimo Pomodorino di Pachino IGP, fiore all’occhiello dell’agricoltura italiana e baluardo della tradizione alimentare italica/italiota, non è stato inventato da coltivatori italiani, ma da ricercatori israeliani, un fatto noto, ma non a tutti.
I pomodori di Pachino sono stati prodotti nel 1989 della israeliana Hazera Genetics, un’azienda leader nel mercato mondiale delle sementi, con la cosiddetta MAS, selezione assistita da marcatori.
La tecnica consiste nel creare in laboratorio un frutto con particolari caratteristiche attraverso incroci e ibridazioni che producono ciò che la natura potrebbe fare in millenni di selezione.
I pomodorini di Pachino sono ibridi di tipo Fl, cioè sono la prima generazione di incroci di razze diverse con l’esaltazione di una certa caratteristica che non trasmettono alle generazioni successive (F2, F3), ma rischiano di portare con sé eventuali caratteri negativi. Questo significa che i semi vanno ricomprati (importati) ogni volta che si vogliono coltivare piantine di pomodoro di Pachino.
Insomma, dall’esempio del Pomodoro di Pachino si ricava la morale che vietare la coltivazione della carne impedirà alle imprese italiane di fare ricerca scientifica ma non impedirà ai consumatori di acquistarla se vogliono. Il Ministero della Sovranità Inutile sta compiendo un atto di ignoranza proterva e autolesionismo scientifico che condannerà una volta di più le imprese italiane al ruolo di fornitura di lavoro in conto terzi che arricchisce i titolari di una innovazione brevettata all’estero.