Le aziende retail, largo consumo e fashion italiane ritengono di avere una conoscenza poco profonda dei propri clienti. Il 28% afferma di non avere una conoscenza sufficiente e solo l’11% ritiene che sia ottima. Sono dati del rapporto di Minsait, realizzato in collaborazione con gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, sulla digitalizzazione delle relazioni con i clienti nei settori Retail, largo consumo e fashion.
Le aziende di questi settori riscontrano difficoltà nella raccolta dei dati: solo il 44% delle aziende ritiene di avere un’alta capacità di raccolta di dati anagrafici basici dei clienti, valore che scende rispettivamente a 17% e 10% per i dati di interazione e quelli comportamentali. Problemi anche nella fase successiva di integrazione: solo il 36% delle aziende ritiene di avere un’alta capacità di integrazione dei dati anagrafici, mentre circa la metà delle aziende ha capacità di integrazione addirittura nulla per quanto riguarda i dati di interazione e comportamentali.
Secondo il rapporto, questa limitata capacità di integrazione dei dati deriva anche dalla presenza di un’infrastruttura tecnologica non adeguata. In quest’ambito, Il CRM è la tecnologia più diffusa, nello specifico nel 71% delle aziende del settore. Meno diffuse invece le tecnologie più avanzate come la Customer Data Platform (35%) e i software di Voice of the Customer (24%).
“Le aziende italiane del retail, largo consumo e fashion sono in ritardo nella costruzione di una relazione digitale di qualità con i propri clienti. È urgente sviluppare una vera e propria data strategy che garantisca la corretta raccolta, integrazione e gestione dei dati. Solo in questo modo sarà possibile offrire il servizio coerente, personalizzato ed eccellente che i clienti richiedono, indipendentemente dai canali di contatto con il brand”, ha affermato Sergio Scornavacca, direttore del mercato Industry & Consumer di Minsait in Italia.
L’importanza del punto vendita fisico
Nel settore retail, largo consumo e fashion i canali maggiormente presidiati sono il negozio, il sito web proprietario e i social network. Se i primi due però risultano essere prioritari per condurre le attività di vendita, i social network sono invece utilizzati più per attività di brand awareness e promozionali.
Nonostante l’avvento del digitale, infatti, i consumatori danno ancora molta importanza alla dimensione offline, soprattutto in un settore come quello dell’abbigliamento in cui in negozio è possibile toccare con mano e provare
i prodotti. A seguire si trova il sito di eCommerce, sfruttato dall’87% delle realtà per attivare il canale di vendita online.
Secondo Minsait, la centralità del punto vendita fisico può spiegare il basso livello di maturità del settore in termini di omnicanalità, fondamentale per riconoscere il cliente e seguirlo attraverso i diversi touchpoint per creare un’esperienza integrata. Stando al rapporto, solo poco più di un terzo delle aziende sono in grado di seguire il cliente nel suo percorso almeno su alcuni dei canali presidiati.
Un processo di vendita ancora a silos
Meno della metà delle aziende nel settore retail, largo consumo e fashion ha iniziato una riorganizzazione interna per ottimizzare il processo di vendita: il 23% ha introdotto un responsabile cross-funzionale con una squadra ad hoc a supporto, mentre il 19% ha introdotto una funzione aziendale completamente dedicata. Rimane quindi il 58% delle aziende che lavora ancora a silos.
“La situazione di scarsa maturità riscontata nell’ambito della data strategy e delle tecnologie a supporto è quindi probabilmente influenzata da una situazione organizzativa in cui non si è ancora in grado di lavorare per una strategia di vendita unica e omnicanale e che vada oltre le logiche di competizione tra canali”, spiega Scornavacca.
Basso livello di sicurezza
Le aziende che lavorano in ambito retail, largo consumo e fashion offrono generalmente ai propri utenti servizi con un basso livello di criticità, che non richiedono quindi procedure di identificazione e autenticazione particolarmente stringenti. Per la fase di onboarding, il 53% delle aziende permette di effettuare il primo riconoscimento completamente in digitale. Tra queste, l’11% prevede unicamente il canale online. Solo il 24% delle aziende in questo ambito prevede la verifica dei dati inseriti dall’utente durante la prima registrazione al servizio.
Dal punto di vista delle misure di sicurezza adottate nei processi di sviluppo o integrazione di piattaforme dati, il settore denota una situazione di forte ritardo. Solo il 31% delle imprese, infatti, applica principi di privacy-by-design e/o privacy-by-default, percentuale abbondantemente sotto la media (pari al 54%). A destare ulteriore preoccupazione, vi è un 49% di aziende che non ne sta nemmeno prendendo in considerazione l’introduzione futura.
A ulteriore conferma della poca attenzione alla materia, il 26% delle realtà dell’ambito non ha individuato una funzione che si occupa formalmente della protezione dei dati identificativi degli utenti. Il 29% affida la responsabilità all’IT, il 21% alla Security e il 13% al dipartimento