“Un maggiore consumo della maggior parte degli alimenti ultra-processati è collegato a un rischio di morte” prematura “leggermente più elevato”.
E’ la conclusione a cui approda uno studio statunitense durato 30 anni e riportato sulla rivista ‘Bmj’ (“Ultra-processed foods linked to higher mortality“) ripresa da Adnkronos. Le associazioni più forti sono state osservate dagli autori per prodotti pronti a base di carne, pollame e frutti di mare, bevande zuccherate, dessert a base di latticini e cibi per la colazione altamente trasformati.
I ricercatori che firmano lo studio – esperti di varie università e centri dalla Harvard TH Chan School of Public Health di Boston ad atenei di Brasile, Cina, Paesi Bassi – puntualizzano che non tutti i prodotti alimentari ultra-processati dovrebbero essere universalmente limitati, ma che i risultati dello studio “forniscono un supporto” alla possibile scelta di “limitare il consumo di alcuni tipi di alimenti ultra-processati per la salute a lungo termine”. Gli alimenti ultra-processati spesso contengono coloranti, emulsionanti, aromi e altri additivi e sono generalmente ricchi di energia, zuccheri aggiunti, grassi saturi e sale, ma mancano di vitamine e fibre. Prove crescenti li collegano a rischi più elevati di obesità, malattie cardiache, diabete e cancro all’intestino, ma pochi studi a lungo termine hanno esaminato i collegamenti con il rischio di morte per tutte le cause e per cause specifiche, soprattutto cancro.
Per colmare questo gap, i ricercatori hanno monitorato 74.563 infermiere registrate in 11 stati degli Stati Uniti nel Nurses’ Health Study (1984-2018) e di 39.501 professionisti sanitari di sesso maschile provenienti da tutti i 50 Stati Usa nell’Health Professionals Follow-up Study (1986-2018) senza storia di cancro, malattie cardiovascolari o diabete al momento dell’arruolamento. Durante un periodo medio di follow-up di 34 anni, i ricercatori hanno identificato 48.193 decessi. Rispetto ai partecipanti collocati nella fascia più bassa di consumo di cibo ultra-processato (in media 3 porzioni al giorno), quelli nella fascia più alta (in media 7 porzioni al giorno) avevano un rischio maggiore del 4% di decessi totali e un rischio maggiore del 9% di altri decessi, compreso un rischio maggiore dell’8% di decessi neurodegenerativi. Non è stata trovata associazione per i decessi dovuti a malattie cardiovascolari, cancro o malattie respiratorie.
In numeri assoluti, il tasso di morte per qualsiasi causa tra i partecipanti nel gruppo che consumava meno cibi ultra-processati e in quello nella fascia più alta di consumo è stato rispettivamente di 1.472 e 1.536 per 100.000 anni-persona. L’associazione tra consumo di cibo ultra-processato e morte variava a seconda dei gruppi alimentari specifici considerati ed era meno pronunciata dopo aver preso in considerazione la qualità generale della dieta, suggerendo che la qualità della dieta ha un’influenza più forte sulla salute a lungo termine rispetto al consumo di alimenti ultra-processati, notano gli autori.
Si tratta di uno studio osservazionale, quindi non è possibile trarre conclusioni definitive su causa ed effetto. Ma “i risultati forniscono un supporto per limitare il consumo di alcuni tipi di alimenti ultra-processati per la salute a lungo termine. Sono necessari studi futuri per migliorare la classificazione degli alimenti ultra-processati e confermare i nostri risultati in altre popolazioni”.
In un editoriale collegato, ricercatori neozelandesi sottolineano che l’obiettivo da perseguire “dovrebbe essere quello di sostenere una maggiore adozione globale di interventi più ambiziosi e di aumentare le garanzie per evitare che le politiche messe in campo siano influenzate da aziende alimentari multinazionali con interessi acquisiti che non sono in linea con gli obiettivi di salute pubblica o ambientali”.