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Ven. Gen 24th, 2025

Si chiama NiMe ed è una dieta pre-industriale, un ritorno al passato per tentare di costruirsi un futuro in salute. A fare da cicerone alla scoperta di questa nuova concezione alimentare è la comunità rurale papuana, musa ispiratrice dello schema dietetico che secondo uno studio è in grado di far perdere peso e “ridurre significativamente il rischio di diverse malattie croniche”, assicurano i ricercatori che firmano il lavoro pubblicato sulla rivista ‘Cell’.

Gli scienziati hanno fatto un test e hanno dimostrato che questa dieta ispirata alle abitudini alimentari delle società non industrializzate porta miglioramenti metabolici e immunologici. In sole 3 settimane i risultati sono stati: chili persi, colesterolo cattivo ridotto del 17% e zucchero nel sangue del 6%, proteina C-reattiva (marcatore di infiammazione e malattie cardiache) diminuita del 14%. Tanto che i ricercatori hanno intenzione di condividere le ricette con il pubblico.

Le diete industrializzate, riporta Adnkronos, ricche di cibi lavorati e povere di fibre, spiegano, hanno contribuito a un aumento sostanziale di malattie croniche come obesità, diabete e malattie cardiache nei Paesi ricchi. I miglioramenti ottenuti con la dieta che imita le abitudini alimentari delle comunità non industrializzate sono stati collegati dagli autori ai cambiamenti benefici osservati nel microbioma intestinale, ‘casa’ di trilioni di batteri che svolgono un ruolo fondamentale per la salute, influenzando digestione, immunità e metabolismo. A condurre la sperimentazione umana del regime alimentare NiMe – Non-industrialized Microbiome Restore è stato un team internazionale guidato da Jens Walter, scienziato dell’University College Cork, in Irlanda, dove ha una cattedra di ricerca. Il test si è svolto nell’Università dell’Alberta in Canada, la precedente istituzione di Walter.

“L’industrializzazione ha avuto un impatto drastico sul nostro microbioma intestinale, aumentando probabilmente il rischio di malattie croniche”, osserva l’esperto. “Per contrastare questo fenomeno, abbiamo sviluppato una dieta che imita le abitudini alimentari tradizionali e non industrializzate ed è compatibile con la nostra comprensione delle interazioni dieta-microbioma”. In uno studio clinico “rigorosamente controllato – illustra Walter, che è anche ricercatore principale del centro di ricerca APC Microbiome Ireland – i partecipanti hanno seguito questa dieta e hanno consumato L. reuteri (Lactobacillus reuteri), un batterio ‘buono’ prevalente nell’intestino dei papuani della Nuova Guinea, ma raramente presente nei microbiomi ‘industrializzati'”.

Lo studio ha dimostrato che la dieta NiMe migliora la persistenza a breve termine di L. reuteri nell’intestino. E migliorano anche le caratteristiche del microbioma danneggiate dall’industrializzazione, come la riduzione dei batteri pro-infiammatori e dei geni batterici che degradano lo strato di muco nell’intestino. Questi cambiamenti sono stati collegati a miglioramenti nei marcatori cardiometabolici del rischio di malattie croniche. Sebbene i partecipanti alla dieta NiMe non abbiano assunto meno calorie, precisano i ricercatori, hanno perso comunque peso e la dieta da sola ha portato a benefici cardiometabolici.

In una precedente ricerca, il team di Walter, studiando il microbioma intestinale nella Papua Nuova Guinea rurale, ha scoperto che le persone che vivono lì hanno un microbioma molto più diversificato, arricchito di batteri che prosperano grazie alle fibre alimentari e con livelli inferiori di batteri pro-infiammatori legati alla dieta occidentale. Queste informazioni sono state utilizzate per progettare la dieta NiMe. Quali sono dunque le caratteristiche chiave di questo schema alimentare? Quelle tipiche delle società non industrializzate: focus vegetale, ma non una dieta vegetariana, nel senso che il menu è composto principalmente da verdure, legumi e altri cibi integrali, ma c’è una piccola porzione di proteine ​​animali al giorno (salmone, pollo o maiale). E ancora: niente latticini, carne di manzo o grano, esclusi semplicemente perché non fanno parte degli alimenti tradizionali consumati dagli abitanti rurali della Papua Nuova Guinea. Altro punto: pochissimi alimenti trasformati che sono ricchi di zuccheri e grassi saturi. Mentre la dieta è ricca di fibre, 22 grammi ogni 1.000 calorie, una misura che supera le attuali raccomandazioni dietetiche.

“Tutti sanno che la dieta influenza la salute, ma molti sottovalutano l’entità” di questa influenza, conclude Walter. Lo studio, aggiunge in un commento al lavoro Paul Ross, direttore di APC Microbiome Ireland, “dimostra che possiamo prendere di mira il microbioma intestinale attraverso diete specifiche per migliorare la salute e ridurre il rischio di malattie. Queste scoperte potrebbero dare forma a future linee guida dietetiche e ispirare lo sviluppo di nuovi prodotti alimentari e ingredienti, nonché di terapie, che mirano al microbioma”. Le ricette della dieta NiMe saranno pubblicate su Instagram e Facebook, annunciano gli autori, e saranno poi incluse anche in un libro di cucina online. “Per noi – chiosa Anissa Armet dell’Università dell’Alberta, dietologa che ha ideato la dieta NiMe e una delle autrici principali della pubblicazione – è importante rendere queste ricette liberamente disponibili in modo che tutti possano godersele e migliorare la propria salute nutrendo il proprio microbioma intestinale”.

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