Le persone che, nel 2022, hanno lavorato tramite una piattaforma digitale (almeno un’ora nei 12 mesi precedenti l’intervista) sono 565mila, l’1,5% della popolazione tra i 16 e i 64 anni residente in Italia (il 3,0% nella media dei 17 paesi europei che hanno partecipato all’indagine). Lo rileva l’Istat. Il fenomeno è più diffuso tra gli uomini (1,8%) rispetto alle donne (1,3%), tra le persone di età compresa tra i 30 e i 54 anni (2,0% tra i 30-44enni e 1,7% tra i 45-54enni) e tra quelle più istruite (2,6% tra chi ha almeno una laurea e 1,7% tra i diplomati).
Circa i due terzi hanno utilizzato un’unica piattaforma, il 22,3% ha utilizzato almeno due piattaforme per svolgere lo stesso tipo di attività e il 10,1% ha utilizzato più piattaforme per svolgere attività diverse. Circa 89mila persone hanno svolto il lavoro su piattaforma digitale nelle quattro settimane precedenti l’intervista, con caratteristiche simili a quelle rilevate tra chi lo ha svolto nei 12 mesi: più numerosi gli uomini rispetto alle donne, più rappresentate le classi di età 30-44 e 45-54 anni e i laureati.
L’Istat rileva inoltre che tra quanti hanno svolto il lavoro su piattaforma digitale nelle quattro settimane precedenti l’intervista, la percentuale di inattivi e disoccupati è più bassa rispetto a quanti l’hanno utilizzata nei precedenti 12 mesi: gli inattivi sono il 5,6% (erano il 18,1% con riferimento ai 12 mesi) e i disoccupati il 4,8% (il 5,8% con riferimento ai 12 mesi). Ne consegue che gli occupati sono circa il 90%, rispetto al 76,1% con riferimento ai 12 mesi.
L’Istat sottolinea che le attività più frequentemente mediate tramite piattaforma sono la vendita di beni, la consegna di merci (incluso cibo), la creazione di contenuti (Youtube, Instagram e simili), l’affitto di case o stanze, i servizi informatici (programmazione, coding, webdesign, supporto e controllo di contenuti online), le attività di insegnamento, tutoring e traduzione, i lavori manuali (elettrici, idraulici, pittura, ecc.) e di cura, il servizio di taxi e trasporto passeggeri.
Nell’ambito delle attività legate alla vendita di beni, le persone occupate che utilizzano una piattaforma sono rappresentate da lavoratori autonomi, con e senza dipendenti, per il 37%; tra questi quasi la metà svolge come attività prevalente una professione connessa alla vendita di beni (ad esempio esercenti o addetti delle vendite, tecnici della distribuzione commerciale e professioni assimilate, oppure esercenti o addetti alle attività di ristorazione, esercenti o professionisti di attività ricreative). In questo caso, la piattaforma è utilizzata come canale aggiuntivo a quello tradizionale per la commercializzazione. Una situazione simile si riscontra anche per l’attività di consegna di cibo o di altre merci e per quelle legate all’affitto di case.
Le attività più frequenti rimangono sostanzialmente le stesse anche con riferimento alle quattro settimane: vendita di beni, affitto di case/stanze, consegna di cibo o altre merci, creazione di contenuti, che nel complesso rappresentano oltre i due terzi del totale. Con riferimento alle quattro settimane precedenti l’intervista, aggiunge inoltre l’Istat, sono state rilevate alcune caratteristiche del lavoro tramite piattaforma: l’impegno orario, la quota di reddito derivante da queste attività, le modalità di assegnazione del lavoro, le conseguenze in caso di rifiuto di presa in carico di un lavoro, la definizione degli orari e quella dei prezzi.
L’impegno orario per le attività lavorative svolte attraverso piattaforma digitale da quanto rilevato dall’Istat è mediamente basso: un terzo degli individui ha lavorato per la piattaforma meno di un’ora, poco più di un terzo meno di 10 ore, nel complesso otto individui su 10 hanno lavorato per la piattaforma meno di 20 ore nelle quattro settimane precedenti l’intervista. Il dato è coerente con la quota di guadagno derivata dal lavoro tramite piattaforma che per oltre due individui su tre rappresenta al massimo la metà del reddito complessivo percepito nelle quattro settimane (per quasi la metà è meno di un quarto).
In quasi quattro casi su 10 la piattaforma assegna direttamente l’attività (per il 38,4% degli intervistati) e simile è la quota di coloro che la svolgono su propria iniziativa (circa il 37%); solo il 18% afferma di poter scegliere tra diverse opzioni o richieste di clienti. Il rifiuto a prendere in carico un’attività non comporta alcuna conseguenza nel rapporto con la piattaforma per il 53,5% dei rispondenti, mentre il 38,9% dichiara che il rifiuto potrebbe determinare conseguenze più o meno gravi (quali la perdita del lavoro, la disconnessione dalla piattaforma, la perdita di incarichi rilevanti o il peggioramento delle valutazioni. In oltre otto casi su 10 l’orario di lavoro è totalmente autodeterminato, a conferma dell’elevatissima flessibilità che caratterizza questo tipo di organizzazione del lavoro.
In poco più del 20% dei casi, rileva ancora l’Istituto di Statistica, il compenso della prestazione lavorativa è definito dalla piattaforma (prezzo esatto o range), nel 13,5% dei casi c’è una negoziazione con la piattaforma, infine, in oltre sei casi su 10 è stabilito dallo stesso lavoratore (o da altro soggetto nei casi in cui vi siano tariffe regolamentate). Il grado di libertà e autonomia nell’organizzazione e gestione del lavoro su piattaforma digitale è generalmente elevata, anche per effetto della natura delle attività prevalenti – vendita di beni, affitto di case, consegna di cibo e creazione di contenuti – e della tipologia di lavoratori che, con riferimento alle quattro settimane, sono prevalentemente autonomi, spesso con dipendenti, in molti casi con profili che lasciano pensare a un uso della piattaforma come canale di commercializzazione dei prodotti che producono o vendono nell’ambito della propria attività lavorativa prevalente, conclude l’Istat.