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L’olio d’oliva riduce il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari e tumori

È uno dei prodotti principali della dieta mediterranea e da tempo l’olio d’oliva suscita interesse in ambito scientifico anche per i suoi effetti sulla salute. Una nuova ricerca, da poco pubblicata sulla rivista European Journal of Clinical Nutrition, suggerisce che il suo consumo regolare possa associarsi ad una ridotta mortalità non solo per le malattie cardiovascolari, ma anche per i tumori.

Lo studio è stato realizzato nell’ambito del Progetto UMBERTO, condotto dalla Piattaforma Congiunta Fondazione Umberto Veronesi ETS – Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), in collaborazione con la Clinica Mediterranea Cardiocentro di Napoli e l’Università LUM “Giuseppe Degennaro” di Casamassima (BA). Il lavoro di ricerca è stato condotto con il contributo non condizionante dell’azienda Monini.

L’obiettivo era chiarire il nesso fra consumo di olio d’oliva e rischio di mortalità per tumore, un aspetto sinora poco chiaro per gli epidemiologi.

I benefici del consumo di olio di oliva sono ampiamente documentati in letteratura, soprattutto in relazione alla salute cardiovascolare – dice Emilia Ruggiero, primo autore dello studio e ricercatrice finanziata da Fondazione Umberto Veronesi ETS presso il Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed – Tuttavia, si sa ancora poco sugli effetti dell’olio di oliva in relazione ai tumori, e la maggior parte dei dati disponibili proviene da popolazioni non Mediterranee. Ecco perché abbiamo voluto indagare il ruolo di questo alimento cardine della dieta mediterranea anche in relazione alla mortalità per tumore, utilizzando i dati raccolti dallo studio Moli-sani, una delle coorti di popolazione più grandi d’Europa”. 

Il gruppo studiato comprendeva 22.892 persone, di cui 11.976 donne e 10.916 uomini con un’età media di 55,4 anni al momento dell’inclusione nello studio, che in media consumavano 23,3 grammi di olio d’oliva al giorno. Coloro che consumavano più olio d’oliva riportavano meno problemi di salute cronici, consumavano più frutta, verdura, legumi e pesce, e bevevano meno alcol.

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Durante un periodo di oltre 12 anni di follow-up, si sono verificati 2566 decessi, di cui 939 per cancro, 910 per malattie cardiache e 723 per altre cause. Consumare tre o più cucchiai di olio d’oliva al giorno è stato associato a una minore probabilità di morte per qualsiasi causa. L’analisi dei biomarcatori ha mostrato che un consumo più elevato di olio d’oliva ha ridotto rispettivamente del 21,2% e del 13,7% il rischio di mortalità per tutte le cause e per il cancro, rispetto a consumi più contenuti (inferiore o uguale ad un cucchiaio e mezzo).

Lo studio, considerando le abitudini alimentari dei partecipanti, ha rivelato che consumare più olio d’oliva è legato a minori tassi di mortalità non solo per malattie cardiache, ma anche per cancri e tutte le altre cause di morte, indipendentemente dalla qualità generale della dieta.

Questi risultati, ha commentato Marialaura Bonaccio, Co-Principal Investigator della Piattaforma congiunta “confermano il beneficio del consumo regolare di olio d’oliva per la salute cardiovascolare che è associato alla riduzione di un quarto dei decessi dovuti a patologie cardiovascolari. Ma il dato più interessante è che, rispetto a un consumo inferiore a un cucchiaio e mezzo, il consumo quotidiano di olio di oliva in quantità uguali o superiori a 3 cucchiai da tavola è associato ad una riduzione del rischio di mortalità per tumore”.

Saranno senz’altro necessari altri studi ma, conclude Maria Benedetta Donati, Principal Investigator della Piattaforma congiunta: “Questi dati suggeriscono ipotesi molto interessanti. Infatti, la riduzione di mortalità per tumore appare spiegata, seppure parzialmente, da un miglioramento del profilo di alcuni fattori di rischio tipicamente legati alle patologie cardiovascolari. È un’ipotesi che affascina molti ricercatori: malattie croniche diverse come ad esempio tumori e infarto del cuore potrebbero condividere gli stessi fattori di rischio e gli stessi meccanismi molecolari. In altri termini, esisterebbe un ‘terreno comune’, o ‘common soil’ nella formulazione inglese, da cui si originano queste patologie”.

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TM

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