L’Italia del vino è un mondo unico fatto di produttori indipendenti, vitigni autoctoni e territori dalle caratteristiche straordinarie. Conta oltre 240.000 aziende agricole che coltivano uva, 30.000 imprese vinificatrici e più di 500 vini con denominazione Dop e Igp. In termini di biodiversità, l’Italia vanta una distribuzione dei vitigni ineguagliabile: i dieci più coltivati coprono meno del 40% della superficie nazionale, a confronto del 70% della Francia e dell’80% dell’Australia. Con un fatturato di 16 miliardi di euro, il settore vitivinicolo si conferma un pilastro economico per il Paese.
In questo scenario, Nomisma Wine Monitor, l’Osservatorio di Nomisma dedicato al mercato del vino, ha realizzato un’indagine in collaborazione con FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) per delineare un identikit dei produttori indipendenti e del loro impatto socio-economico. L’analisi rivela che questa tipologia di impresa contribuisce non solo alla filiera vitivinicola italiana ma anche all’intero sistema economico e sociale del Paese.
Un modello di viticoltura integrato e radicato sul territorio
Gli oltre 1.700 vignaioli associati a FIVI coltivano in media poco più di 10 ettari, producendo 75 tonnellate di uva per circa 38.000 bottiglie all’anno. Questo modello integrato segue tutto il processo, dalla vigna alla cantina fino alla commercializzazione.
Come osserva Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor, il valore di questo modello risiede anche nella sua localizzazione: l’81% dei vigneti si trova in zone collinari e montane, a rischio di spopolamento e dissesto idrogeologico, contro il 60% della media nazionale. Questi territori, dove l’uva è tra le poche colture ancora redditizie, beneficiano quindi di un contributo fondamentale alla tenuta economica e ambientale. Il valore per ettaro ottenuto dall’uva da vino è infatti più che triplo rispetto ai cereali, predominanti in molte aree rurali italiane.
Un impatto positivo a livello sociale
I vignaioli indipendenti non solo garantiscono posti di lavoro, ma creano anche rapporti di fiducia e stabilità: il 30% dei lavoratori nelle aziende FIVI è assunto a tempo indeterminato, contro una media del 10% in agricoltura. Inoltre, il 28% dei dipendenti è di origine straniera (media italiana: 19%) e il 33% è donna, rispetto al 26% della media agricola nazionale. Questo modello mostra un evidente impegno nella costruzione di un contesto lavorativo inclusivo e di qualità.
Il valore economico del “modello FIVI”
Sebbene i vignaioli indipendenti rappresentino una realtà di medie e piccole dimensioni, il loro valore unitario è significativo: il prezzo medio di una bottiglia prodotta dai soci FIVI è di 7,7 euro, oltre il doppio della media italiana di 3,6 euro. L’indagine di Nomisma evidenzia anche l’importanza delle esportazioni: il 71% dei produttori vende all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, mentre il 23% intende espandere le vendite internazionali nei prossimi anni, con un crescente interesse per i mercati asiatici.
Non mancano però le difficoltà. Solo il 14% dei vignaioli FIVI ha potuto usufruire dei fondi OCM per la promozione internazionale, a causa di restrizioni e vincoli burocratici che ostacolano le piccole aziende.
Un modello sostenibile, tra ambiente e turismo
La sostenibilità è un valore chiave per i produttori FIVI. Negli ultimi due anni, il 71% delle aziende ha implementato azioni sostenibili, come l’uso di packaging eco-compatibile e la riduzione dei consumi d’acqua. Circa la metà dei vignaioli produce vino biologico e il 20% possiede una certificazione di sostenibilità.
Anche la sostenibilità economica è cruciale. In questo senso, l’enoturismo rappresenta un’importante leva di sviluppo. Oltre l’80% delle aziende offre esperienze di enoturismo, come visite guidate e degustazioni, che contribuiscono al 23% del fatturato medio, rispetto al 18% della media nazionale. Questa offerta diversificata rafforza ulteriormente il tessuto economico delle aree rurali e promuove uno sviluppo turistico sostenibile, mitigando i rischi dell’overtourism nelle città italiane.
Le sfide future dei vignaioli indipendenti
Nonostante il contributo prezioso che i vignaioli indipendenti offrono alla valorizzazione del territorio, le sfide da affrontare sono numerose. Quasi un produttore su due identifica come problematiche prioritarie la gestione dei costi e l’efficienza organizzativa, fattori influenzati dai cambiamenti climatici e dalla scarsità di manodopera. Anche l’evoluzione del consumo e l’incremento della concorrenza, specie da parte dei vini più economici, rappresentano minacce per i prodotti di alta qualità.
La visione della FIVI e le richieste alla politica
Lorenzo Cesconi, presidente della FIVI, sottolinea come questa indagine abbia fornito una fotografia dettagliata della realtà dei vignaioli indipendenti, evidenziando non solo la loro resilienza, ma anche le difficoltà. “Abbiamo colto delle importanti conferme, delle interessanti novità e dei preoccupanti segnali di allarme”, afferma Cesconi, facendo appello alla politica affinché sostenga le piccole e medie imprese vinicole con misure concrete, come la semplificazione burocratica e l’orientamento alla sostenibilità e alla qualità.
Anche Matilde Poggi, presidente della CEVI, ribadisce l’importanza di rendere accessibili ai piccoli produttori i fondi di promozione sui mercati esteri. La richiesta di semplificare le certificazioni e i sistemi di sostegno, spiega, è fondamentale per consentire a queste aziende di competere in un mercato globale, mantenendo il loro impegno verso una viticoltura sostenibile.
In definitiva, i vignaioli indipendenti rappresentano una risorsa strategica per l’Italia, un segmento vitale per la filiera vitivinicola, ma che necessita di supporto per continuare a crescere e valorizzare i territori che custodiscono.