L’83% degli internauti ripone la propria fiducia negli influencer che si spendono nelle tematiche sociali tra cui quelle del green e della diversity. Nel 2020 sono stati rilevati 69.300 messaggi di influencer esclusivamente incentrati sulla sostenibilità (di cui il 98,57% non sponsorizzato), in crescita del 41% sul 2019. Diversità e inclusione, parallelamente, costituiscono il contenuto di 111.000 post (di cui il 99,10% non sponsorizzato, + 35% vs 2019). #Plastic free, #sustainable, #ecofriendly, #loveislove, #blacklivesmatter, #pride, #lgbt sono gli hashtags più frequenti.
Con questi dati elaborati da Buzzoole ha preso il via la riflessione organizzata nell’ambito della Milano Digital Week da SEC Newgate. Al tavolo virtuale hanno discusso in live streaming Flavio A. Ceravolo direttore del corso di laurea in Comunicazione digitale all’Università di Pavia, Vincenzo Cosenza, CMO di Buzzoole, martech company leader nell’influencer marketing, Ivo Ferrario, direttore comunicazione e relazioni esterne di Centromarca, e Gabriele Bertipaglia, partner dell’agenzia. L’incontro è stato condotto da Andrea Cornelli, vice presidente UNA (Aziende della Comunicazione Unite).
Tenendo conto del fatto che la reputazione dell’influencer non può fare a meno di quella dell’impresa e viceversa, è stato messo in evidenza che la figura dell’influencer deve “entrare” in azienda e partecipare a un lavoro di “co-creazione” del percorso di comunicazione che deve essere necessariamente in linea con il portato valoriale dell’impresa.
E a partire dal tema degli influencer si è colta l’occasione per sottolineare che pur vivendo in una società liquida caratterizzata dalla precarietà e volatilità delle opinioni, si assiste al passaggio dallo storytelling al purpose, cioè alla crescita da parte delle aziende dell’impegno “concreto, coerente, misurabile e condiviso” su temi socialmente sensibili. Ciò anche in presenza del rischio di erodere la client base potenziale del singolo brand. In sintesi, raccontare il prodotto non è più sufficiente. Occorre instaurare un “rapporto fiduciario” con il consumatore per raggiungere la fidelizzazione alla marca.
Fiducia e desiderio sono i fattori attorno i quali si sviluppa la dinamica della comunicazione delle aziende. Ciò si spiega con la fine del monopolio informativo unidirezionale dell’offerta rispetto alla domanda perché ci troviamo in un contesto sempre più disintermediato dall’utilizzo massivo dei social. Al consumatore è oggi conferita la prerogativa di promuovere/bocciare un prodotto con un clic.
Proprio per questo, all’interno delle diverse strategie di comunicazione, la solidità dei contenuti deve occupare un ruolo di primo piano rispetto alle scelte sull’utilizzo degli strumenti. Nell’ottica di garantire un posizionamento distintivo e non omologato, occorre coniugare vissuti valoriali e fattori distintivi del prodotto.
Il concetto di “liquidità” di Baumann, non coincide con una “calma fluidità”, bensì con un immenso “oceano narrativo” solcato da correnti e controcorrenti comunicazionali che minano la stabilità del consumatore. I sistemi di ascolto dei pubblici, quindi, non sono tool opzionali, bensì devono strutturarsi per restituire analisi e reportistica adeguate dei dati. In questo senso, il concetto di Intelligenza Umana Aumentata deve essere declinato con quello di Intelligenza Artificiale.
La “questioni tematiche” che contraddistinguono lo scenario attuale in cui si muove la industry della comunicazione si traducono, perciò, nella capacità di scelta degli alleati, seguita dall’integrazione tra Intelligenza umana e IA e, contestualmente, dalla decisione a investire in risorse in grado di utilizzare criticamente e strategicamente la capacità computazionale dell’AI.
Sulla base di questi contenuti, infine, Gabriele Bertipaglia ha focalizzato l’attenzione sul ruolo giocato dal consulente della comunicazione: “Se le aziende cambiano, a maggior ragione deve evolversi anche il contributo dell’agenzia di comunicazione. Le imprese, oggi, non chiedono più singole azioni slegate fra loro ormai valutate come semplici commodity bensì un apporto strategico in grado di valutare oltre ai benefici attesi e realizzabili, anche i fattori rischio connessi“.