In un momento storico in cui il settore turismo è rimasto in balia delle restrizioni Covid, ho deciso di incontrare a Madonna di Campiglio alcuni rappresentanti di albergatori e ristoranti della rinomata località di montagna, famosa in tutto il mondo.
A fare da trait d’union tra me e gli interpreti di questo mondo delle montagne è stato Sergio Rocca. Imprenditore del mondo ho.re.ca., ma anche scalatore e padre del BRAND DI ARCHITETTURA 37100,che proprio in questi giorni ha iniziato il progetto di ricostruzione di un maso situato di fronte alle meravigliose guglie del Brenta.
Con lui nel 2020 avevamo discusso della crisi che stava colpendo la sua Verona – quarta città italiana per affluenza turistica – e del settore in cui è impegnato, appunto, come imprenditore e consulente.
Partiamo quindi ad esaminare questa analoga situazione, che ha dilagato tra le zone di montagna come uno tsunami.
«La pandemia Covid ha messo in evidenza la fragilità di un settore strategico per l’Italia che si credeva invincibile. Solo gli addetti sapevano che, in realtà, anno dopo anno, dal Duemila il mondo dell’Ho.re.ca. ha perso marginalità in modo irreparabile. Fare l’imprenditore in Italia è divenuto oggi uno sport estremo e il turismo, insieme ad altri ambiti dell’economia, regge solamente grazie al sacrificio che migliaia di persone stanno facendo per mantenere in efficienza le loro aziende.
Con i margini operativi ormai ridotti all’osso dai costi fissi, solo chi non paga affitti e chi coinvolge le famiglie nella gestione pare possa riuscire a resistere a questa pandemia. E oltre a questa, bisogna interrogarsi comunque sul futuro che verrà e che porterà questo settore strategico sempre più in mano a grandi società, che possono permettersi di navigare nei loro bilanci, assorbendo anche perdite gestionali e costi all’interno di una filiera di altre società.
Insomma, sarà il mondo della finanza a farla da padrone.
Purtroppo, siamo destinati a perdere l’anima popolare di questo mondo dell’accoglienza.
La globalizzazione arriverà – anzi è già arrivata – tra queste valli, prendendosi, anno per anno, pezzi di territorio e attività correlate.
Solo le gestioni familiari che reggeranno alle offerte di denaro – spesso irrinunciabili – potranno permettere alle valli di non perdere definitivamente il possesso di questi luoghi senza pari».
Ci trasferiamo allo Chalet Fogajard, luogo magico, dove incontriamo due storici imprenditori di Madonna di Campiglio.
Parliamo con Paola Lattuada, proprietaria dell’omonimo chalet, e con Marco Bonapace, titolare dell’Hotel Panorama Fontanella, che a distanza di soli 500 metri si erge sulla valle, di fronte al medesimo scenario da fiaba della Bocca di Brenta.
– Eravate pronti ad un inverno di numeri e soddisfazioni, guardando le tante prenotazioni!
— Paola: “Sinceramente non abbiamo mai pensato che potesse essere una grande stagione, almeno non come quelle degli anni d’oro. I continui cambiamenti da parte del governo italiano ci hanno insegnato a credere solamente nelle nostre capacità e, soprattutto, a non avere aspettative.
Per le festività Natalizie abbiamo scelto di lavorare solo con piccolissimi numeri. Abbiamo offerto lo Chalet a piccoli gruppi/famiglie in esclusiva, cioè chiudendo il Ristorante agli esterni, e offrendo ai nostri Ospiti un servizio “dedicato”. La vacanza esclusiva e in sicurezza è stata molto apprezzato dalla nostra clientela.”
— Marco: “Effettivamente le prenotazioni avevano creato delle aspettative più che ottimistiche. Il ritorno del Covid ha portato a diverse cancellazioni di clientela estera oramai consolidata nel tempo. C’è stato invece un forte ritorno di clientela italiana che, abbandonando mete esotiche, ha riscoperto il piacere della vacanza in montagna. Questo fatto ci ha permesso di salvare la stagione invernale altrimenti compromessa.”
– In questo periodo storico così devastante per le attività lavorative, cosa ha significato la parola “famiglia” per voi?
— Paola: “Direi che ha significato tutto. Lo Chalet Fogajard è nato dalle “ceneri” di una vecchia casa di famiglia, come una Fenice è risorto a nuova vita. È stato concepito e ricostruito con tutto l’amore possibile nel 2010, quando i nostri figli erano piccoli. Qui loro sono cresciuti, come ci sono cresciuta io. Quando l’amore per un luogo è così viscerale, difficilmente lo lasci andare, difficilmente ci rinunci. Un po’ come un vero matrimonio: se l’amore è vero, dura per sempre. Se un matrimonio crolla è perché, sotto sotto, la passione non c’era. Ecco, noi ci sentiamo un po’ sposati anche con le Dolomiti! Se una struttura non è tua e non l’hai vista nascere, forse davanti a difficoltà enormi come questi ultimi due anni, avresti rinunciato.”
— Marco: “Per la nostra azienda, la Famiglia è tutto. L’intraprendenza e la voglia di mettersi in gioco per il futuro dei propri cari, ci ha permesso di superare ostacoli che altrimenti sarebbero risultati difficilmente gestibili.”
– Come sono gestiti i ruoli lavorativi nella vostra famiglia?
— Paola: “Direi che al momento, sono ben distinti. Io mi occupo di tutto quello “che l’Ospite non vede”, ma che percepisce come servizio di qualità quando alloggia o cena allo Chalet. Mio marito Edoardo invece si dedica all’Ospite in toto. Conoscendo tre lingue riesce a creare un rapporto unico con il cliente, che dura anche negli anni. Il figlio maggiore, Thomas, 24 anni, dopo la sua giornata di lavoro alle Funivie, spesso aiuta in sala. Stefano, 22 anni, studia Design a Bolzano quindi, attualmente, dedica poco tempo alla nostra attività. Greta, 19 anni, è alla ricerca della sua strada universitaria e diventerà a breve maestra di sci; quando può, aiuta in sala.”
– Marco: “Visto le dimensioni della nostra struttura i ruoli non sono ben definiti. Ci si adatta a coprire qualsiasi ruolo qualora ci sia la necessità. Dall’amministrazione dell’azienda alla gestione del personale, fino al cambio della lampadina, sono le competenze di chi è proprietario o gestore di un piccolo hotel a conduzione familiare.”
– Il mondo del turismo è ormai in grande cambiamento. Cosa sta accadendo a Madonna di Campiglio?
Ci sarà ancora spazio per giovani imprenditori valligiani o dovranno in tanti cedere il passo ad un mondo di finanza che sta acquisendo lentamente hotel e ristoranti?
Come immaginate il futuro di questa località nel vostro ambito lavorativo?
— Paola: “Credo che Madonna di Campiglio si sia troppo fatta prendere la mano, abbia ceduto veramente in maniera esagerata alle lusinghe economiche di grandi società. Famiglie di imprenditori locali continuano a costruire e comperare; salvo poi dover per forza dare in gestione le strutture a persone che conoscono molto poco il territorio. Per i volonterosi giovani locali lo spazio di lavoro si è ridotto significativamente. Noi continueremo per la nostra strada: siamo piccoli e non cresceremo, se non in qualità!”
— Marco: “Penso che le aziende familiari di Madonna di Campiglio siano ben strutturate per resistere a questi momenti di difficoltà. Soffrono di più le aziende medio grandi, magari di proprietà non legate al territorio che si confrontano solamente con bilanci e utili per valutare se mantenere o vendere un hotel.
Per i giovani imprenditori non è facile partire da zero in un momento economico come questo, ma si vede sul territorio qualche nuova azienda che nasce, e questo è positivo.”
– E riguardo i vostri figli, credete avranno lo stesso desiderio di vivere tra le montagne? Potranno tramandare il medesimo spirito che vi ha spinto a costruire il futuro della vostra famiglia in questi luoghi?
— Paola: “I nostri ragazzi hanno le Dolomiti nel Dna. Noi li abbiamo sempre lasciati liberi di scegliere la loro strada e sempre lo saranno. Sono giovani e devono fare le loro esperienze, senza costrizioni. Vedremo con il tempo.”
— Marco: “La speranza di ogni padre e madre è quella di poter accompagnare i figli verso il passaggio generazionale all’interno dell’azienda. Questo però cercando di non forzare o condizionare delle scelte che comunque competono a loro.”
– Per completare un’analisi sul futuro, mi sorge spontanea una dichiarazione: “Il turismo della neve si sta trasformando in un turismo per ricchi”.
I costi che una famiglia media deve supportare per trascorrere un solo weekend sono saliti alle stelle. Tra autostrada, benzina, skypass, pernottamento e qualche spesa serale e quotidiana, siamo arrivati ormai a quasi 400 euro al giorno; 1500 euro in due giorni per 4 persone equivalgono allo stipendio medio di un italiano. Vi siete interrogati su questo fattore che sta tagliando l’accesso alle valli ad alcune fasce sociali?
Avete studiato delle formule per permettere di poter accedere a questa valle e viverla senza un esborso insostenibile per chi ha stipendi medio bassi?
— Paola: “Negli anni ‘70 i miei genitori, insegnanti, sono riusciti sempre a farci sciare (e noi eravamo 5 ragazzi!). Ora questo non sarebbe possibile. Sicuramente lo sci non è più uno sport per tutti.
La nostra offerta però non si limita agli sciatori. La nostra tipologia di Ospite ci sceglie proprio per una vacanza diversa. Essendo aperti tutto l’anno, siamo la meta preferita di Tedeschi, Olandesi, Inglesi, Belgi e tutto il nord Europa, senza dimenticare Americani e Australiani. Sicuramente questo è un genere di Ospite con maggior capacità di spesa, in aggiunta al fatto che non siamo una struttura per famiglie, ma per coppie, e che l’età media va dai 35 ai 60 anni quindi una fascia di età di persone professionalmente realizzate. Non siamo la tipologia di struttura che un pubblico giovanile sceglierebbe.”
— Marco: “Bisogna sottolineare che Madonna di Campiglio, nelle alte stagioni, ha livelli di prezzo che da tanti anni precludono ad alcune fasce sociali la possibilità di poterla frequentare. Ma alcune fasce stagionali e promozionali sono accessibili quasi a tutti.”
Alla sera, dopo aver salutato chi ci ha ospitato, Sergio Rocca mi accompagna in una salita verso i 1700 metri del lago di Nambino, che troviamo interamente ghiacciato e dove da un secolo circa, la famiglia Serafini gestisce l’omonimo rifugio.
Salendo nel bosco attraverso il sentiero, con l’ausilio delle torce elettriche che ci permettono di non perderci nel dedalo boscoso innevato, gli chiedo cosa significa per lui oggi lavorare sulle case di montagna nel 2022, dopo tanti anni spesi a realizzare masi e chalet per clienti.
«È cambiato tutto. Una volta la seconda casa in montagna, o al mare, era alla portata di tantissime persone. Professionisti, imprenditori e famiglie investivano nel mattone e godevano per decenni dell’acquisto, aumentando la loro qualità della vita. Oggi è rimasta solo una fascia di ricchezza a potersi permettere di acquisire case in luoghi come questo. Al contrario, nei territori del trentino, sono in vendita centinaia di appartamenti in residence e case che oggi hanno perso anche tanto valore. Non esiste più la fascia sociale della media borghesia che una volta li comperava. A meno che i prezzi subiscano una grande diminuzione, le case di poco pregio, resteranno invendute per decenni e lo spopolamento dei territori di montagna non aiuterà certo a coprire questo divario. Oggi, purtroppo, il mercato è fatto solo da persone facoltose che cercano case emozionanti».
Chiedo cosa pensa del suo prossimo lavoro qui a Madonna di Campiglio.
“Ho incontrato dei clienti speciali che amano innanzitutto la montagna e che cercano di creare il loro spazio abitativo sapendo di essere comunque ospiti di una valle. Sono anch’essi una famiglia unita e mi hanno chiesto di studiare un progetto architettonico che mostri l’incontro delle tradizioni con l’architettura moderna. È una bella scommessa. Come tutti i lavori di “37100”, sarà uno chalet interamentemade in Italy, in linea con la scelta etica del brand di lavorare salvando la manualità italiana che è in totale estinzione.
Tra un anno ci rivedremo e vedrai con i tuoi occhi cosa avremo realizzato con il gruppo di artigiani che 37100 gestisce. Sono loro la vera anima del brand. Io progetto case e accompagno in questo modo i clienti a fare scelte che donino un’anima alle loro case, ma poi a marchiare il lavoro è sempre un numero: 37100 che racchiude mani italiane d’eccellenza.”
All’arrivo al rifugio, al termine di una suggestiva salita, siamo accolti da Luca Serafini che ci riscalda subito con una tazza di vino-brulè.
– Da quanto tempo gestite questo rifugio in altitudine? E a quale generazione siete arrivati?
— Luca: “Il Rifugio Lago Nambino è di nostra proprietà dal 1933, quando il nonno Giovanni costruì il primo capanno per la caccia, che successivamente trasformò in rifugio per le vacanze. La gestione di oggi è in mano alla terza generazione composta da tre sorelle (Cinzia, Luisa e Cristina) con l’aiuto dei figli (Sara, Silvia e Luca). Siamo quindi siamo alla terza generazione con il sostegno della quarta.”
– Quanti mesi restante a vivere in quota?
— Luca: “Il nostro rifugio è aperto quasi tutto l’anno, tranne i mesi di novembre e maggio. La vita in quota a contatto con la natura è molto impegnativa. Abitare in un posto che non si raggiunge con la macchina, dove per scaldare devi preparare la legna non è semplice. La mattina ci si sveglia presto per recuperare (tramite la teleferica) le materie prime fresche che ogni giorno ci vengono consegnate. Poi si inizia con la preparazione, lo sbrinamento dei tavoli esterni, l’approvvigionamento dai magazzini, la preparazione al servizio. In un attimo ci si ritrova nel bel mezzo del pranzo, una piccola pausa e si riparte con pulizie in previsione delle cene. Insomma, quando siamo in struttura, non disponiamo di molto tempo libero per gustarci la natura.”
– Quante famiglie, quindi, dipendono da questa attività?
— Luca: “Sono tre i nuclei familiari che dipendono da questa attività in qualità di titolari, ma anche i nostri collaboratori – circa 20 – sono considerati una parte fondamentale della nostra attività e famiglia. Nel 2021, nonostante i presupposti, noi abbiamo deciso di confermare tutto il nostro staff e, grazie a qualche apertura straordinaria, siamo riusciti a mantenere la parola data a tutti loro. La nostra organizzazione è abbastanza semplice, cerchiamo di avere una struttura il più orizzontale possibile, dove tutti siano in grado di fare tutto. La terza generazione è più incentrata sulla parte “pratica,” sempre presente e pronta a intervenire, mentre la quarta (generazione un po’ più “tech”) cerca di alleggerire la mole di lavoro occupandosi di relazioni, gestione e progetti futuri, ovviamente con la supervisione e la totale condivisione delle le mamme (ah sì, perché le titolari sono tutte donne e mamme!).”
-Cosa è successo in questi due anni? Cosa è mancato maggiormente?
— Luca: “Abbiamo cercato di vivere serenamente la mancanza di lavoro e le chiusure forzate, approfittando del tempo libero per valutare attentamente le nostre scelte di vita e lavorative future. Ci siamo tutti concentrati sulla parola “Natura” e sul modo di trasmettere ai nostri futuri clienti l’importanza della sua salvaguardia. A partire da quest’estate, proporremo infatti delle attività con questo scopo.”
-Cosa ha fatto emergere la pandemia all’interno della vostra attività e quale valore ha preso la parola famiglia in questo luogo incantato?
— Luca: “La pandemia ci ha insegnato innanzitutto che le nostre certezze possono venir meno in ogni momento, e quindi bisogna sempre operare con la consapevolezza che le riserve diventano fondamentali. Relativamente alla parola famiglia, essa, per tutti noi, rappresenta l’unico appiglio sicuro a cui aggrapparsi per stare a galla nei momenti di difficoltà. Le nostre, ormai tante, famiglie unite in questo luogo, sono il punto fermo attorno al quale costruire ogni sogno del futuro.”
-Come vedete il futuro di Madonna di Campiglio alla luce di tanti sconvolgimenti economici e ambientali che stanno cambiando gli scenari del mondo del lavoro in Italia.
— Luca: “A Madonna di Campiglio il problema dei grandi flussi in certi periodi dell’anno è tema di discussione da anni. La scarsa destagionalizzazione è stata superata proprio grazie ai grandi afflussi. La pandemia forse ha prodotto l’occasione per cercare di scrivere un futuro, ma sarà dura non farsi ingolosire dai “grandi” numeri. Il rischio di attendere un ritorno alla “normalità”, per tornare rapidamente al passato, è dietro l’angolo. Noi, come famiglia, cercheremo di ripartire su un nuovo percorso professionale che vuole mettere davanti a tutto la difesa del patrimonio ambientale. Venderemo prima di tutto ai clienti l’emozione di vivere tra le montagne, distaccandosi dal mondo in cui viviamo oggi.”
Salutiamo la famiglia Serafini che abbiamo conosciuto al completo durante la serata trascorsa a cenare nel loro rifugio. Scendiamo a valle dopo mezzanotte, con le luci delle torce elettriche che ci guidano verso valle.
Lascio a Sergio Rocca – la mia guida – l’ultima battuta per chiudere questo articolo, e gli chiedo cosa significano per lui le Dolomiti,l’alpinismo estremo e l’architettura di montagna.
«Le Dolomiti sono luoghi dove posso trovare la bellezza assoluta in qualsiasi momento. Da Verona si raggiungono in un’ora e mezza. Un battito d’ali nei ritmi della nostra vita attuale. Nel verticale delle pareti, invece, ho trovato uno degli spazi di vita dove poter essere interamente me stesso. Quando scali a mani libere, senza compromessi, una parete di centinaia di metri, la forza, il coraggio, il carattere, l’eleganza e il senso dell’avventura possono fondersi ed essere espressi contemporaneamente. Un caso veramente raro.
Riguardo il lavoro, salvaguardare l’architettura alpina attraverso progetti di ricostruzione e di interior design, è una sfida altrettanto emozionante. Mi permette di esprimermi mettendo a disposizione dei clienti tutta la mia passione.»
Madonna di Campiglio ci accoglie silenziosa, con le luci della famosa pista da sci “Tre Tre” accese ad illuminare un luogo che, da oltre un secolo, accoglie turisti e personalità, abbagliate da cotanta bellezza.
Forse saranno proprio uomini e donne dal carattere duro e spigoloso, come quello dei loro avi, a salvare l’anima imprenditoriale di questi luoghi, dove la parola “famiglia” ha ancora il significato antico e solido di “luogo sicuro”.