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Dom. Dic 22nd, 2024

L’Osservatorio di Retail Brand Communication dell’Università IULM, in collaborazione con Retail Institute Italy, ha presentato il Retail Workforce Barometer. Si tratta della prima indagine che fotografa la forza lavoro nel retail non food ed è stata condotta a cavallo tra il 2021 e il 2022, tramite questionari, su tutto il territorio nazionale. Il campione conclusivo è composto da 1.751 interviste a lavoratori del settore retail e ha coinvolto differenti catene in ambito non food che operano nell’abbigliamento, nell’elettronica, nell’arredamento, nella profumeria e nel settore farmaceutico.

Obiettivo del Retail Workforce Barometer è provvedere a un monitoraggio longitudinale dell’impatto della formazione, della qualità del lavoro e del benessere aziendale sulla performance lavorativa in un campione rappresentativo di lavoratori italiani del retail.

In questa prima indagine che fotografa la forza lavoro nel retail non food in Italia – seppur limitata ai mercati oggetto di indagine – emergono alcune rilevanti caratteristiche grazie all’elevata numerosità campionaria e agli alti tassi di risposta:

•       Il 78,1% degli operatori del retail non food è composto da donne

•       Il retail si conferma un settore di impiego che accoglie i più giovani, con il 48,3% del campione che ha un’età inferiore ai 35 anni

•       Il 57,6% degli intervistati lavora a tempo pieno, mentre il part-time con più di 20 ore si attesta a una frequenza del 33,6%

•       Il 77,8% dei lavoratori ha un contratto a tempo indeterminato: dato che si correla fortemente con l’età e l’esperienza nel settore

•       Il 44,1% dei lavoratori ha più di 10 anni di esperienza: dato che conferma l’importanza del retail nella crescita professionale dei dipendenti

•       La proporzione di store manager rispetto agli assistenti di vendita è mediamente di 1:2.

“Qualità del lavoro e wellbeing aziendale – ha dichiarato il professor Francesco Massaradocente di Marketing all’Università IULM e Coordinatore dell’Osservatorio Retail Brand Communication– acquistano oggi particolare rilevanza sotto la spinta dei criteri ESG (environmentalsocial e governance) per far fronte alla crisi di talenti che preoccupa il retail. A pensarci bene, però, questi fattori sono da sempre una leva di competitività tanto importante quanto latente: ovvero solo in pochi hanno finora compreso e abilitato. Come di recente dimostrato da Gallup, l’attenzione alle persone vale fino a quattro volte l’investimento effettuato. Il nostro barometro gli fa eco, mostrando che l’impegno messo in campo per migliorare la qualità del contributo del fattore umano, in particolare attraverso le leve della formazione e dell’engagement, ha un impatto diretto e significativo sulla performance e quindi sulla redditività aziendale”.

“Il Retail rappresenta il primo settore economico nel nostro Paese, per fatturato, occupati, numero di imprese, investimenti – ha spiegato Alberto MiragliaGeneral Manager di Retail Institute Italy – Favorisce l’occupazione giovanile, femminile e a tempo indeterminato e, negli ultimi anni, abbiamo avuto modo di osservare lo sviluppo di nuove professioni legate alla Digital Innovation insieme all’evoluzione dei mestieri tradizionali, supportati dal crescente uso della tecnologia. Abbiamo supportato con piacere l’indagine che, in linea con la mission dell’Associazione di promuovere la cultura e lo sviluppo del settore, si è delineata come uno strumento in grado di fornire indicazioni utili a orientare l’impegno costante delle aziende nell’acquisire, gestire, formare, valorizzare le risorse, introdurre strategie e iniziative efficaci per trattenere i talenti e farne i primi ambassador”.

Il report si può leggere integralmente poiché è pubblicato sul sito dell’Osservatorio.

La metodologia: sono stati analizzati tre fattori antecedenti alla performance lavorativa (fattore umano, tecnologico e organizzativo) congiuntamente a due KPI – Key Performance Indicators intermedi della qualità del lavoro (Relazione con il cliente e Job Satisfaction) e uno finale (Service Performance), proponendo un focus su sei variabili descrittive:

•       Sesso

•       Età

•       Anzianità di servizio

•       Ruolo (store manager vs sales assistant)

•       Tipo di impegno (full-time vs part-time)

•       Tipo di contratto (tempo indeterminato vs tempo determinato)

L’indagine ha consentito di evidenziare che:

•       Le donne denotano punteggi superiori su tutti i fattori antecedenti e sui KPI (Relazione con il cliente, Job Satisfaction, Service Performance), dato che probabilmente spiega la prevalenza di donne nel campione, più efficienti ed efficaci nel gestire l’interazione con il cliente

•       L’età dei lavoratori, ma anche gli anni di esperienza nel retail, incidono positivamente sulla qualità del lavoro svolto nel punto vendita

•       Il lavoro part-time (precario), in particolare quando è superiore a 20 ore settimanali, ha effetti negativi sulla qualità del lavoro e sulle performance lavorative

•       La tipologia di contratto a tempo determinato ha effetti leggermente negativi sulla qualità del lavoro rispetto al lavoro a tempo indeterminato

•       Il ruolo è discriminante; gli store manager hanno punteggi nettamente più alti rispetto agli assistenti di vendita su tutte le variabili rilevate. La crescita professionale nel retail ha quindi un effetto positivo, in particolare sulle variabili organizzative, motivazione e Job Satisfaction; da considerarsi proxy della qualità del lavoro e del benessere aziendale.

Infine, viene presentato un modello di relazione tra i fattori antecedenti (umano, tecnologico e organizzativo) e i KPI intermedi e finali (Relazione con il cliente, Job Satisfaction, Service Performance), mettendo in luce la rilevanza del fattore umano rispetto all’impiego di tecnologia nel punto vendita, e il ruolo fondamentale dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane, con particolare riferimento alla comunicazione interna e alla formazione.

Più in particolare, i risultati evidenziati delle analisi producono i seguenti spunti di riflessione:

•       La performance del servizio offerto nel retail dipende in parte dal rapporto che il dipendente instaura con il cliente e in parte dalla Job Satisfaction

•       Il rapporto con il cliente è sostenuto dal fattore umano più che dalla tecnologia. Il fattore umano si conferma centrale nelle relazioni con la clientela nel retail non food. La tecnologia è, per contro, un facilitatore che si innesta su competenze di relazione (viceversa, la sua incidenza è limitata)

•       Il fattore tecnologico, e in particolare la gestione dei canali in ottica omnichannel, potrebbe supportare il lavoro degli addetti alle vendite in modo più sostanziale, pertanto presenta dei margini di miglioramento

•       Il servizio al cliente potrebbe beneficiare di un maggior supporto organizzativo, che in generale si estrinseca in attività di relazione con il personale, comunicazione interna e formazione

•       La motivazione dei lavoratori dipende in maniera importante dai fattori organizzativi, e ha un’incidenza molto alta sulla Job Satisfaction, quindi sulla qualità del lavoro percepita e sul benessere aziendale, oltre che sulla produttività

•       La Job Satisfaction è allineata alla media delle variabili, tuttavia è inferiore agli altri KPI (Service Performance e Rapporto con il cliente), per cui i dipendenti sentono di ricevere dall’azienda meno rispetto a quanto producono per il cliente, con conseguenze potenzialmente negative.

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