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La fatica degli invisibili per la filiera di alcune eccellenze del Made in Italy nel podcast ‘Sulle spalle degli altri’

Alcune delle eccellenze agricole arricchiscono i produttori e lustrano il pedigree del cibo “made in Italy”. Sono lontani anni luce i tempi grami del dopoguerra, quando la fame era tornata protagonista: oggi mangiare è diventato anche uno status symbol e proliferano “chef”, marchi, il marketing conia sempre nuovi slogan. Anzi, se un problema si pone è quello della sovraproduzione, dello spreco, ma questa è un’altra storia.

Quei prodotti che luccicano nelle vetrine di alimentari che sembrano gioiellerie o su banchi nobili di catene multinazionali hanno una storia: qualcuno li ha seminati, coltivati, curati, protetti, raccolti e alla fine confezionati per la vendita al dettaglio. Insomma, fanno parte di una filiera, cioè di un’organizzazione complessa e articolata che impiega circa un milione e mezzo di lavoratori, se contiamo anche i cosiddetti “invisibili”.

C’è un mondo alle spalle di quei prodotti- scrive Fnsi – fatto di sudore, fatica e molto spesso sfruttamento e non riguarda soltanto gli immigrati, ma sempre più spesso anche gli italiani. A raccontarlo è il nuovo podcast dal titolo “Sulle spalle degli altri”, realizzato Susanna Bucci e Paolo Butturini e prodotto da Akùo, iniziativa di OverPress Media, in collaborazione con Flai-Cgil.

“Sulle spalle degli altri”, letto da Annabella Calabrese e disponibile sulle principali piattaforme dal 23 giugno 2023, “è un viaggio -si legge in un comunicato- attraverso il racconto e le voci dei protagonisti, nei territori in cui si coltivano e si confezionano quei cibi aristocratici. Scoprirete così che esistono ancora forme di ‘caporalato’ anche nel ricco Nord-Est, che nella Capitanata le donne lavoratrici sono quasi tutte italiane, che i sikh si sono stancati di prendere botte ed essere sfruttati, che in Calabria è pericoloso anche soltanto parlare con i lavoratori. E tanto altro. Ma vedrete anche che ogni giorno ci sono donne e uomini della Flai-Cgil che provano a contrastare questo sfruttamento, a far crescere la coscienza anche dei lavoratori immigrati. La loro fatica è più lieve di quella di chi sta chino sui campi, ma è preziosa per ridare a queste persone prima di tutto la dignità”.

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TM

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